De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

biblioteca - archivio virtuale

Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

family web site

Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

Homa page 

Centenario della prima ascensione al Gran Sasso d’Italia

compiuta da Orazio Delfico il 30 luglio 1794

di Giacinto Pannella

In Rivista Abruzzese di Scienze Lettere ed Arti, a. IX, 1894, pag. 422

30 luglio 1794

 

Sotto qualunque punto ci facciamo a riguardare Teramo sullo scorcio del secolo passato, abbiamo a compiacercene con vero orgoglio cittadino. Molti dei nostri si dettero al viaggiare in mezzo a disagi e pericoli che oggi noi ignoriamo. Pochi viaggiavano per piacere soltanto, i più per istruzione. Fra questi si segnalarono i Delfico.

Più che discepolo, amico dell’Abate Quartapelle (1), Orazio Delfico portato da sua tendenza allo studio delle scienze naturali ed istradatovisi egregiamente in Teramo nella scuola dell’Abate, fè disegno di portarsi a Pavia allora famosa pei celebri professori di fama mondiale che vi coltivavano le scienze, le quali da natura s’informano, di frequentare quello studio e di conoscere l’Alta Italia. Difatti vi andò nel 1788, vi ascoltò Volta, Spallanzani, Mascaroni, Brusati ed altri sommi, e dopo d’aver percorso l’Alta Italia col Quartapelle e con lo zio Melchiorre se ne tornò a Teramo nel 1791.

Giovane ardente teneva dietro a tutti i nuovi studii ed alle loro applicazioni: Di quegli anni lo scienziato De Saussure saliva le Alpi e tentava il gigante monte Bianco De Luc preparava strumenti per misurarlo con altro metodo che il geometrico già antico. Anche egli concepì il disegno di fare altrettanto pei suoi monti Abruzzesi.

Appena tornato in patria nella bella stagione insieme col Quartapelle (2), il Comi, il Michitelli fin dal ’91 percorse buona parte delle valli e delle falde della nostra catena appennina. Studiò molte sorgenti, molti minerali, piante ed animali. Con tali studi e tali applicazioni si rivolse al Gran Sasso. Fè proposito di salire all’ultima vetta e misurarne l’altezza (3). Molti ostacoli dovè vincere intorno a sé, ma ebbe la fortuna di trovasi attorno persone colte della forza di un Melchiorre e vide gli ostacoli convertirsi in aiuti. Or, mosso dalla curiosità naturale dell’uomo e che forse più d’ogni altro senso interno, scrive lui, contribuisce ad accumulare nello spirito umano gli errori e la verità, e sollecitatovi precedentemente dal dotto illustratore della geografia del Regno sig. Giuseppe Galante, il 25 luglio del 1794 si partì da Teramo. Però prima di partire aveva incaricato l’architetto Eugenio Michitelli, suo cugino ed altro nostro egregio concittadino, di fare le osservazioni barometriche in Teramo in corrispondenza con le sue ed a Ornano in casa del sig. Luigi Petrilli che co' suoi figli gli fu utile scorta e compagnia alla salita. Dopo quattro giorni di preparazione, il dì 29 alle ore 11 e tre quarti pomeridiane mosse alla volta del Gran Sasso con i suoi ospiti, domestici ed altra gente del luogo che avevano pratica della montagna; e dopo il cammino di circa quattro ore giunse ad Ara Pietra. Fin qua su muli, quindi a piedi e, dice, a stento e adagio andando avanti giunse in un esteso ripiano quasi interamente circondato da alte roccie che ne formano come una maestosa conca. Da qui montò dal lato orientale alla più alta cima o, come egli scrive, all’ultima cimata, un piccolo piano inclinato quasi fosse un coverchio, o un gran lastrone ivi sopra imposto di massa uniforme della pietra istessa e, che servì pure di letto a tutta la compagnia.

Da Ara Pietra all’ultima cima che era il lato orientale del Corno Grande e che toccò verso le tre p. m. del 30 impiegò un undici ore di salita e alle quattro e mezzo ne cominciò la discesa, se meno disagiata, non meno pericolosa della salita. Fece molte osservazioni sulla natura della sostanza o l’origine della montagna, sul ghiacciaio, sul suo fonte che scorre sul gelo e cita i versi del Pontano nel libro De fontibus et fluminibus (4).

Un barometro e due termometri porta seco e altrettanti (5) ne lascia in Teramo al suo bravo e dotto cugino Eugenio Michitelli. Seguendo il sistema De Luc fanno osservazioni barometriche a Teramo, ad Ornano e sulla cima del lato orientale, ed hanno l’altezza del Gran Sasso in 9577 piedi parigini.

Fece molte altre osservazioni scientifiche, preziose per la maggior parte anche oggi per la loro profondità e per ragione del tempo e del luogo. Già molte ne aveva fatte prima insieme col valente chimico Dottor Comi e col Prof. Quartapelle, ma per farne altre ancora, non potendo quell’anno, vi tornò l’anno appresso alla metà di luglio in compagnia del Michitelli. Rimase ad Ornano fin l’undici agosto per le esplorazioni attorno. Al 12 partì dall’ospitale paese per trovarsi allo spuntare del sole sulla montagna di Vado, passò alla montagna delle Tre Torri. Gittò lo sguardo al Fosso del mal passo e allea voragine sotto il nome di Inferno di S. Colomba. Non sfuggirono alla sua osservazione i fenomeni delle Gravure prodotte dai grandi massi rotolanti di neve. Per la montagna di Forca andò a Pietracamela, e si appressò alla montagna d’Intromesole visitandovi la grotta della vena dell’oro. E qui fu il termine del suo penoso cammino. Fece replicate analisi chimiche, si convinse che i nostri monti non possono darci che ferro e notò la vera ricchezza di carbon fossile e di legname di ogni specie.

Tutto egli raccolse in una lunga lettera diretta in Napoli al suo zio materno, Marchese Filippo Mazzocchi e, col titolo di Osservazioni su di una piccola parte degli Appennini, pubblicò a Milano nel 1796 ricca di una tavola per la misura dell’altezza e di due vignette del Gran Sasso designate dal Michitelli prima di giungere al Castello di Fano.

Questa pubblicazione fu il primo lavoro scientifico fatto sul Gran Sasso d’Italia e tenuto in molto conto dai dotti fin dal suo apparire alla luce e prese il suo posto accanto ai Viaggi per le Alpi del celebre M. De Saussure.

Esaurita la prima stampa e richiesta dai dotti e avendo osservato che il naturalista tedesco Reuss e quindi Scipione Breislak nella sua geologia avevano data misura inferiore del Monte Corno, il padre di Orazio la fece ristampare nel 1812 in appendice della sua storia d’Interamnia Pretuzia (6).

In fine, il Club Alpino Italiano la inserì nel numero 18 del suo Bollettino. Così dell’opera del Delfico possiamo contare tre edizioni e rilevarne il valore e l’importanza (7).

Ecco in iscorcio la memoria odeporeca del Delfico; ora possiamo al centenario a suo onore celebrato dai posteri e specialmente da Teramo, sua terra diletta.

II

30 luglio 1894

Anche dopo un secolo l’ascensione fatta dal Delfico vive nella memoria dei posteri e seguiterà a vivere in altri ancora. Il che si deve specialmente alla stampa della memoria. L’azione passa e la stampa rimane. Per essa dopo De Saussure poniamo il Delfico, come dopo le Alpi, gli Appennini. Così incomincia la storia delle salite e delle montate ardite alle vette più sublimi del

bel Paese che Appennin parte e …..circonda l’Alpe.

Oggi non evvi chi non comprenda la grande importanza per la storia e la geografia e in generale per la coltura speciale di questa e quella regione le escursioni montanine. Il Club Alpino Italiano con le sue escursioni e le sue pubblicazioni ha molte benemerenze nella letteratura nazionale moderna; e più ne avrà quando crescerà di socii e quando vedrà effettuati i suoi disegni onde dagli altopiani, dalle praterie, dai boschi e dalle alte vette rifluisca onda salutare di vita forte in mezzo alle popolazioni sparse per valli e piani più comodi dei monti, ma non sempre egualmente sani. Il Club Alpino comprese l’importanza dell’escursione fatta dal Delfico e ne curò la ristampa nel suo Bollettino. Ora ne celebra il centenario e il presidente comm. Malvano il 10 luglio di quest’anno manda il seguente invito a tutti i socii Alpinisti Italiani:

 

               Egregi Colleghi,

 

«Il 30 luglio 1794 Orazio Delfico compieva la prima ascensione della vetta orientale del Corno Grande del Gran Sasso d’Italia e ne scriveva una importante memoria che avrete letto ristampata nel Bollettino del Club Alpino Italiano, n. 18.

«A commemorare la fausta prima ascensione della più elevata vetta dell’Appennino questa Sezione ha deliberato una escursione invitandovi i colleghi di tutte le sezioni. Siamo quindi lieti di rivolgerci a voi, che sapete vivificare lo spirito e ritemprare la fibra sulla pura aura dei monti, per incitarvi a venire con noi a commemorare chi, quasi nell’epoca stessa in cui De Saussure ascendeva  ed illustrava la vetta più elevata delle Alpi, sapeva vincere l’inconsulto terrore che anche nelle popolazioni meridionali inspiravano i monti, e superava e scientificamente descriveva il gigante degli Appennini.

«Non v’invitiamo a feste, ma ad un semplice amichevole convegno, ad una semplice escursione che, quanto più numerosi sarete, tanto più raggiungerà lo scopo di dimostrare la nostra gratitudine verso coloro che furono i nostri precursori ed anche i nostri ispiratori.»

E i socii risposero in gran numero all’invito del Malvano. Ma lasciamo al Bollettino del Club Alpino discorrere dell’ascensione di quei che partiti da Roma per Aquila, Assergi, il Rifugio, ascesero al Gran Sasso, e prendiamo nota dei due drappelli che partiti da Teramo salirono alle più alte cime del Gigante dormente.

Questa volta il Gran Sasso davvero come rocca, e che rocca ! è stato preso d’assalto da più punti. Un drappello di giovani Teramani per Montorio si portarono il 29 luglio a Pietracamela, ove furono ospiti graditi, come sempre dei signori Dionisi, e di qua mossero rimontando il rio Arno, ricco d’onde cristalline e di sponde meravigliose e per Campopericoli pervennero al Rifugio. Parte rimase a Pietracamela, parte al Rifugio, si assottigliò così il drappello, tanto che solo in numero di tre, Fausto e Luciano Delfico e l’Avv. Flaviano De Marco, con una guida seguirono gli Alpinisti di Roma e salirono al lato occidentale e all’orientale raggiunto da Orazio Delfico.

Un altro drappello mosse anche da Teramo e coll’intenzione di seguire lo stesso sentiero battuto da Orazio Delfico: onde fece la prima sosta ad Ornano anche a casa Petrilli ed ebbe liete e festose accoglienze dal Dott. Raffaele, pronipote del Petrilli che fu ospite e compagnoni Orazio al Gran Sasso. Egli volle essere del drappello ed ascendere il monte. Quindi accoglienze non meno liete il drappello ne trovò ad Isola del Gran Sasso in casa De Plato che provvide di muli e mulattieri, di guide e vettovaglie la brigata.

Qui, fermatisi alcuni venuti da Teramo, si costituì il drappello di 10 persone, di quattro alpinisti di occasione, il Prof. Giacinto Pannella di Teramo, il Dott. Raffaele cav. Petrilli di Ornano, Giovanni De Plato e Fileno De Amicis d’Isola del Gran Sasso, giovani che hanno ereditato dai padri passione ardente pei monti, di due guide e di quattro robusti pedoni, e mosse da Isola alle 11 e tre quarti del 29. Costeggiando sempre a monte la sponda sinistra del risonante Mavone passò per Cesa di Francia, Forca di Valle, Vena spaccata, Forchetta ove fa sosta di un’ora e alle 6 pervenne ad Ara Pietra e poco dopo incominciò la salita del Vallone.

In Ara Pietra, a 1727 m., siamo al vestibolo dei due Corni. Qui lo spettacolo è meraviglioso. Distese di terre a perdita d’occhio cinte dal mare; ma questo spettacolo cresce a dismisura alla cima del monte. Noi immersi ancora nella penombra del bosco di Forca di Valle, già il sole indorava le alte cime della catena e spiegava la luce verso noi di mano in mano che montavano. Questo contrasto di ombra e di luce pasce l’occhio e la fantasia nelle grandi ombre dei faggi proiettantisi alle falde vede tanti giganti che danno l’assalto al Gran Sasso, a quest’Olimpo dei popoli Pretuziani. Dal nevaio alle sorgenti del Mavone si apre ampio vallone tra i due Corni; i gran massi accavalcantisi ne costituiscono i gradoni. A destra il Corno Piccolo, a sinistra il Grande, sembrano con le loro pareti ferrigne e qua e là anzi di bronzo avere per volta il cielo e terminarsi alla rotonda del ghiaccio. L’occhio vede tanto e la fantasia l’accresce; ma le piante dei piedi e spesso le palme delle mani toccano che i gradoni sono massi su massi che fanno serpeggiare e andare su e giù faticosamente.

Dopo un’ora si giunse alla Grotta delle Cornacchie coll’adito ad un tre metri su le pareti del Corno Piccolo: è un antro naturale, vaneggiante entro il masso. Poco più su a destra presso le pareti del Corno Grande, un  poggetto fiorito circondato da massi e da neve si eleva l’accampamento di Saint-Robert. E si sale e si sale e i massi diventano più piccoli; un’altra ora di salita, si posa i piedi sulla ghiaja, che spesso al muovere dei passi scorre a torrenti e fa precipitare a valle: è la zona del ghiaieto, il brecciaio faticoso; ma ne alletta la vista maestosa della conca, del Calderone. Là entro si dimentica ogni stento, ogni pericolo corso. E’ una basilica maestosa che da mezzo il cielo l’illumina la lucerna del mondo; attorno attorno le pareti del nevaio sono colonne qua lisciate dal gelo colante, là a tortiglione, più avanti striate o serpeggianti a capriccio del fulmine e del genio delle tempeste; tappeto soffice e gentile, la neve copre il pavimento, solcato in mezzo da limpido ruscello che scorre su letto di gelo e si versa in un laghetto di ghiaccio quale di fino cristallo per ricomparire in cascatella fuori del nevaio a lato del brecciaio. Anche lassù una festa di colori: accanto al variopinto dei fiorellini, il candido della neve, il ferrigno e il bronzino delle pareti riflesso nell’iride del ruscello, e tutto illuminato dal più fulgido sole di luglio. Guardando attorno fino ai pinnacoli delle cime con lo sguardo vagante si va in cerca del nume titolare del luogo donde scesero le prime genti italiche a popolare i piani sottostanti.

In questo luogo incantevole e sublime muore ogni passione e non vive se non quella altera dei  monti, e la presenza dell’uomo anima tutta la scena e porta vita su vita.

In questa rotonda che guardano come scolte i due lati, orientale ed occidentale, delle due più alte cime s’incontrarono ad una stessa ora, le dieci del giorno 30, i tre drappelli, quello di Roma e i due di Teramo; e mentre un quarto si affacciava sulla cresta del lato occidentale, si salutarono, si strinsero fraternamente la mano e, raggianti i volti di gioia, acclamarono fra gli evviva Orazio Delfico.

Ma le guide ci sollecitano a salire alla cima raggiunta dal Delfico perché vagolano a basso nei valloni figure fantastiche di nebbia. Alle 11 siamo alla sommità e posiamo sul piano inchinato, sul lastrone, prima del Delfico non calcato forse mai da orma umana.

Ogni peso di stanchezza è scomparso, si depone buona parte del fardello degli anni né rimane traccia dei disagi patiti; la vista che spazia sublime lontano, lontano attutisce ogni altro senso; gode l’animo nostro della natura doma fin lassù. Se guardar dall’alto in basso è di spirito altero, solo al sommo del Gran Sasso quell’alterezza sembra congenita al misero figlio d’Adamo. Lassù non si parla o poco, si guarda, si mira e rimira e si ritorna a guardare e rimirare. Lo sguardo non si può staccare dagli altri monti allineati e degradanti a destra e a sinistra, dalle distese di terre a perdita d’occhio cinte da mare al nascere  e al morire del sole.

Il lastrone, il piano inchinato, lassù ricorda Delfico e, monumento che non passa, lo indica all’Alpinista. Il Conte de Saint-Robert fece staccar piccoli massi intorno al piano inchinato, ne fece fare un mucchietto d’un due metri, segno anche lassù della signoria dell’uomo sul resto della natura. Ora tra pietra e pietra del mucchietto si lasciano ricordi. Il cartoncino sigillato entro cilindretto di cristallo ricorda il centenario, il cammino battuto e chi vi pose il ricordo:

 

ORAZIO DELFICO, 30 LUGLIO 1794

GIACINTO PANNELLA, 30 LUGLIO 1894.

TERAMO, ORNANO, ISOLA, ARA PIETRA, NEVAIO, CORNO GRANDE.

 

Altri vi lasciarono altri ricordi.

Gittati de’ razzi in alto, dato fuoco in segno di festa a castagnole, alle 12 si scese rifacendo gli stessi passi. Alla Conca, al luogo incantevole, la comitiva riunita fè di nuovo sosta, propinò ad onore di Orazio Delfico e fu fotografata dall’Avv. De Marco. Tutti giulivi, giù pel brecciaio, giù pel vallone, ad Ara Pietra alle due per ritornare che a Pietracamela e chi ad Isola ed Ornano. Il centenario, tanto pel numero degli alpinisti, tanto per l’ascensione da tre diversi punti e ai due lati del Grande Corno, quanto per la bella giornata, non poteva meglio celebrarsi e fu degno degli Alpinisti, del Delfico e di Teramo sua terra.

Ma quel che abbiamo fatto e scritto è passato e per le ricordanze. Aggiungiamo qualche cosa pel presente e per l’avvenire.

Tante questioni, piccole e grosse, economiche, sociali devesi andare a sciogliere ai monti ed ai mari. Se si pensasse ad essi, tante miriadi di disoccupati turbolenti troverebbero il loro posto lungi dai paesi e dalle città delle valli e dei piani.

E da madre natura l’Italia ha ricevuto a dovizia di mari e di monti per luogo ai suoi figli e farli vivere in sede tranquilla. Parallele alle navi da guerra devono solcare i mari le navi di commercio. Guardiamo alle navi di Francia, d’Inghilterra e degli Stati Uniti. L’Italia ha costruito quelle della prima specie, deve ancora le altre della seconda.

Ma lasciamo questa volta ondeggiare il mare e tuffarvi le migliaia di bagnanti e restiamo ai monti non meno salutari in questa stagione. Finora i paesi presso alle falde non hanno che recato male ai monti denudandoli delle piante e impedendo il crescere dei boschi con greggi esuberanti di bestiame. Ora in parte il Governo va impedendo questi mali, ma altro dovrebbe fare. Molto dovrebbero fare i Comuni limitrofi ai monti.

Ecco poche parole nell’intento di favorire le ascensioni al Gran Sasso dal lato orientale, singolare per le bellezze meravigliose.

Il Club Alpino Italiano alle altre benemerenze deve aggiungere anche questa di costruire un Rifugio ad Ara Pietra (8); coi due rifugii può attuare il disegno dell’Astronomo Tacchini impiantandovi una specola.

I Comuni dalla parte loro dovrebbero non lasciare in abbandono delle intemperie i sentieri anzi, costituiti in consorzio, aiutati dalla Provincia, dovrebbero costruire strade carrozzabili movendo da Tossicia o da Ornano, o da Isola, sino al rifugio. I Comuni alle falde, i proprietarii, signori di praterie e boschi, devono fondare case alla svizzera a piè e a capo dei boschi, in mezzo alle praterie.

Si deve costituire una sezione Alpina della Provincia Teramana. Alcuni amatori di monti hanno pronto uno schema per costituirla. La costituirebbero socii effettivi ed onorari. Tutti i sindaci dei Comuni limitrofi ai monti sarebbero socii onorarii e presidente onorario il sindaco di Teramo. Meglio e con minore spesa il Governo potrebbe conservare, anzi accrescere i boschi e regolare il taglio e la coltura delle piante. Dall’altro canto i Comuni potrebbero far consumo razionale di legna pur conservando la loro proprietà boschiva. Ma bisogna fare strade e costruire case per rendere possibile il soggiorno salutare dei monti anche a cittadini, usi ad altra vita.

Per tre stagioni dell’anno, la Sezione Romana, la futura Sezione Teramana degli Alpinisti, il Governo, i Comuni montagnosi, i proprietari e tutti gli amatori dei monti devono invitare a salire e soggiornare alle falde ed ai fianchi, alle praterie ed ai boschi, con escursioni ed ascensioni fatte ora a diletto, ora a diletto ed istruzione insieme, sempre a salute.

Con la costruzione delle strade, del Rifugio, delle case veramente montane si riuscirebbe a far sostituire a molti il soggiorno delle falde dei monti a quello delle spiaggie dei mari oggi troppo affollate, e a far risparmiare ad altri l’andata assai costosa su i monti toscani e gli svizzeri più lontani.

Alcuni credono abitare i monti facendo stanza in qualche paese a questi vicino, ma presto si trovano a disagio e non raggiungono lo scopo; in quella vece bisogna montar su, su, vivere circondati di cespugli, in mezzo ai castagni, agli abeti, ai faggi, e respirare di notte e di giorno i profumi emananti dai fiori delle praterie e dalle piante delle selve vergini, lungi, lungi dai rumori della solita vita e dagli altri dei soliti luoghi popolosi, per vivere vera vita montanina.

Con le andate, con le salite, con le escursioni ai monti ne verrebbero la conoscenza più particolare e lo studio compito dell’intero gruppo dal Tronto alla Pescara; e si sa quanto ricca fonte di sapere sono i monti. Questi ed altri effetti benefici alla salute e al sapere compenseranno ad usura la spesa.

Parte della nostra provincia potrebbe essere la Svizzera Italiana: le doti di natura non mancano, manca l’opera dell’uomo.

Non aggiungo parola perché evidenti sono le necessità e l’utilità di fare qualche cosa e di trarre profitto dai monti che ingombrano tanta parte della nostra Provincia.

Tavola delle Osservazioni e dei risultati per la misura dell'altezza della cima di Monte Corno sopra il lido del Mare

Tavola delle Osservazioni e dei risultati per la misura dell'altezza della cima di Monte Corno sopra il lido del Mare

Tavola I - Catena dei monti che separa la provincia di Teramo da quella de L'Aquila

Tavola I - Catena dei monti che separa la provincia di Teramo da quella de L'Aquila con le seguenti denominazioni:

A - Montagna di Fano Adriano, B - Montagna d'Intermesoli, C - Corno piccolo, o montagna della Pietra,

D - Corno grande, o Montecorno, E - Montagna delle Tre Torri, F - Montagna di Vado, G - Montagna di

Pagliari, H - Montagna dei Castelli (Disegno dell'ing Eugenio Michitelli)

Tavola II - Monte Corno - Disegno dell'ing. Eugenio Michitelli
Tavola II - Monte Corno (Disegno dell'ing. Eugenio Michitelli)
_______________

(1) In vero «al nobile signore Orazio Delfico» dedicò il Quartapelle la sua prima opera data alla luce in Napoli nel 1787 «Elementi di Logica e Psicologia».

(2) Il Quartapelle ne scrisse al ministro Codronchi a Napoli. Si conserva dai signori Quartapelle la risposta del Codronchi del 10 settembre 1791.

(3) Pel centenario della prima ascensione molti giornali si sono occupati di Orazio Delfico, ma quali l’hanno fatto vivere nel secolo passato, quali l’hanno confuso con Melchiorre e quali sono caduti in altre inesattezze. Or ecco alcuni cenni della sua vita poco conosciuta.

Questi, unico figlio di G. Bernardino, nacque in Teramo nel 1769; ebbe a maestro l’Ab. Quartapelle, il quali gli dedicò la sua prima opera data alla luce nel 1787.

Dimorò insieme col maestro due anni a Pavia per compiervi gli studii, in Teramo incominciati, delle scienze naturali. Alle quali fin da fanciullo si sentiva portato. Si diede ad esplorare le nostre contrade in compagnia del Comi, del Quartapelle, dei Michitelli, per iscoprirvi miniere ed altre ricchezze naturali. Per primo lavoro diede alla luce nel 1795 notizie biografiche intorno al Comi da noi fatte conoscere nella biografia di questo nostro concittadino. Le traemmo dal Giornale Letterario di Napoli, vol. XXXVI, n. 35. Per secondo lavoro pubblicò le Osservazioni, della quali ci occupiamo in questo Centenario.

Grande profitto trasse dallo Studio di Pavia. Nel 13 aprile 1795 ebbe da Pavia sull’elettrometro e sul fluido elettrico e la volontà umana una lunga lettera del Volta, la quale fa veramente onore al Delfico. Fu pubblicata nell’an. II della Rivista Abruzzese, p. 49.

Dal 1806 al 1812, sotto il dominio francese, occupò varie cariche militari, come quelle di Colonnello della Legione Provinciale, Capo-Battaglione del primo reggimento d’Infanteria leggiera e dei Veliti della Guardia, e di Gran Maggiore del quarto di Linea.

Tenne quindi la carica d’Ispettore dell’amministrazione di Acque e Foreste su tutte e tre le provincie d’Abruzzo e il grado d’Ispettore generale.

Fu uno dei cittadini della Provincia teramana scelti socii della Reale Società d’Incoraggiamento in Napoli e membro del Consiglio Generale in Teramo. Si ridusse a vita privata dopo il 1820 e fu il Mecenate di quanti nella nostra città amavano le scienze e le lettere avendo aperte a tutti le sale del suo splendido Palazzo con la ricca biblioteca. Con ingenti spese in un giardino e orto botanico faceva coltivare dall’intelligente Tazzoli (sic ma Tuzzoli) sotto la guida dell’Orsini piante esotiche e sì nuove e varie da non cedere a quelle dei principali orti botanici delle Capitali; e anch’oggi ne sopravvivono alcune! Morì nel 1841.

(4) Così quasi a parola li traduce l’Antinori: «Nei monti Precutini, Gioviano Pontano, ancora fece parola della Grotta Orrenda, chiamata Corno dagli abitanti vicini; dalla cui cima sgorga un gelido torrente d’acqua che si inoltra tra rigidi sassi: torrente che non predotto da antri pel cavo monte o da umida valle, né spinto in alto da forza interna, egli credette, che provenga dall’aere commosso intorno e sopra della ripa e che nascosto sotto la volta rimosa sudi talché sentendo il rigore algente del freddo, cade fluttuante a stille, e ne forma e ne seconda il corso.» Raccolta di memorie, Tomo IV, p. 449.

(5) fa seguire una minuta descrizione degli strumenti preparati ed usati, a p. 9 delle «Osservazioni».

(6) V. Interamnia Pretuzia di Gio: Bernardino Delfico. Napoli, Stamperia Reale 1812.

(7) Tenne gran conto delle Osservazioni del Delfico l’Abate nella sua Guida al Gran Sasso, p. 100 e seg.

(8) Accenna alla necessità di costruirlo anche il segretario della Sezione Romana, E. Abbate nella Guida al Gran Sasso, p. 191.

----- ~ -----

Proprietà della Biblioteca Provinciale "Melchiorre Dèlfico", Teramo