De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Melchiorre Delfico.

Contributi per lo sviluppo della cultura teramana,

in particolare per la nascita dell’Università

di Elisabetta Di Biagio

Melchiorre Delfico, filosofo, economista, sociologo, fece molto per la sua città: si prodigò, con opere, corrispondenze e personali iniziative, perché Teramo, città ai confini del regno, spesso ignorata dalla capitale, non fosse completamente dimenticata. Innanzitutto, il Delfico fu l’artefice principale per riottenere il Tribunale: "Lo ridomandarono più volte – ricorda il Conte di Longano - e nol riebbero che per opera di Melchiorre Delfico; generale fu l’esultanza cittadina e si faceva proposito di statue da erigere, ma il Delfico persuase a far cosa di utilità pubblica" (1). Si prodigò molto perché a Teramo nascesse l’Accademia, il 12 dicembre 1788; "Fu la prima di tal genere, non solo dell’allora Regno delle Due Sicilie, ma di molte altre regioni nazionali ed estere (2).

È da ricordare, affinché si contestualizzi meglio il merito del Nostro nell’elevare il tono culturale teramano, che comunque esisteva già all’epoca un grande fermento cittadino mirante allo sviluppo delle arti e delle scienze, mortificato però dal governo. Ad esempio, in una lettera del 1808, indirizzata al Ministro dell’Interno,(quindi 10 anni dopo il carteggio del Delfico con Re Ferdinando IV, che esamineremo oltre), Gianluca Vezii scriveva: "In Teramo le scienze, la Filosofia e le nobili arti hanno sempre fiorito pei sublimi talenti e rari ingegni che vi sono stati prodotti …. e che oggi si andranno perdendo, se non si accenderà nuovamente quella nobile emulazione ed entusiasmo tra i cittadini, estintosi per l’atroce persecuzione fattasi dal passato governo contro tutti i filosofi e buoni cittadini (3)".

È di grande interesse, a questo punto, rimarcare gli immani sforzi compiuti dal Delfico per l’istituzione dell’Università a Teramo, ritenuta importantissima per la rifioritura delle arti e delle scienze, tanto che lo studioso "si fece interprete del loro desiderio - del desiderio dei teramani -, ch’era anche suo, presso il trono. Ed egli - continua il Conte di Longano - una delle volte in cui vedeva il Re, profittando dello stato dell’animo di lui, gli chiese la grazia perché si erigesse in Teramo una piccola Università di studi"… (4)

A testimonianza della "reale bramosia del Delfico per la sua immanente costituzione" (5), si può consultare la sua corrispondenza con Ferdinando IV, che ebbe inizio  nel mese di maggio del 1788 con la Memoria per lo stabilimento di una Università a Teramo.

L’istanza  del Delfico fu accolta favorevolmente dal Re, che chiese il parere alla Real Camera, che a sua volta decise, sentito il Vescovo, di interpellare il Tribunale di Teramo. Alla consulta negativa della Real Camera - cui si conformò successivamente lo stesso Sovrano -, Delfico replicò invano, come attestano le lettere del carteggio relativo. La prima di queste è una supplica del Nostro affinché l’insegnamento fosse affidato a cultori teramani.

Dopo il parere negativo giunto da Napoli sul progetto dell’istituzione dell’ateneo teramano, se ne parlerà in seguito solo nel 1808 quando, soppressi i conventi della città, sarà proposto di fondare il "Real Collegio" nel monastero di S. Matteo e un’Accademia di Scienze nel convento dei Cappuccini, inaugurata il 23 gennaio del 1814. Vi verrà istituita solo più tardi, nel 1817, una cattedra di Giurisprudenza (6) per l’università si sarebbe dovuto attendere ancora più di un secolo e mezzo.

Nella prima missiva spedita al Re, il Delfico ribadì il concetto che la città di Teramo "per una fortunata combinazione si trova in grado di avere individui sufficienti a poter soddisfare le cinque Cattedre stabilite" (7), senza l’intervento di "forestieri". E il teramano suggerì anche i titolari: "Tre ne abbiamo in città e due in Napoli. Abbiamo qui Giovanni Thaulero (consigliere d’Intendenza e segretario della Società economica (8), distinto gentiluomo, che, oltre di una costante morigeratezza, si è esercitato da molti anni ad istruire la gioventù nella Filosofia speculativa e nella Morale. Per la storia e la geografia già ci sarebbe Biaggio Michitelli (filosofo e letterato, giureconsulto, assessore militare di Teramo, nel 1789 assessore in Toscana, e consigliere di Stato nel 1821 (9); Berardo Carlucci (tipografo, propose l’apertura di una scuola di grammatica e umanità (10) sarebbe eccellente; in Napoli poi ci sarebbero Vincenzo Comi per le scienze mediche (chimico, studioso di scienze naturali, eletto nel 1920 deputato per la provincia di Teramo (11); Carlo Forti (ingegnere, fu assistente nelle opere del porto di Brindisi (12) poi sarebbe molto a proposito per la matematica; per soprintendente non potremmo meglio che indicare Gianfilippo Delfico (fratello di Melchiorre, studioso di scienza ed economia, presidente della Società economica e di giurisprudenza (13) sia per la pubblica stima che riscuote, che per le tante cognizioni che possiede".

Nella seconda missiva, il Delfico illustrò al Re "il dispendio enorme che porta il mantenimento di giovani a studio a Napoli - soprattutto in virtù della lontananza -, ed i pericoli di lasciar costoro esposti alle irreparabili licenze della Capitale, sono altrettanti ostacoli allo sviluppo di talenti originali, ed alla civilizzazione". Oltretutto - proseguì il Delfico - per l’istituzione dell’Università si può ovviare coi fondi comuni della Beneficenza Ecclesiastica vacanti nello Stato di Atri, "che altro non servono a persone oziose" - qui l’anticurialismo di cui già abbiamo fatto cenno sopra viene a galla in tutto il suo ardore - che ammontano a mille ducati. Pertanto, la somma da destinare al futuro ateneo teramano era già disponibile, ma, purtroppo, una volta consultata la Real Camera, fece difetto ancora la volontà reale.

Nella terza lettera, il Delfico pose l’accento su "come tutte le altre città capitali delle provincie avessero ottenuto le proprie università", e sulla pregiudiziale di Napoli che si era abbattuta su Teramo, dal momento "che i 1300 ducati (questa volta non più mille) sarebbero sufficienti per tale stabilimento. Se la giustizia e la ragione - continuò il Delfico -, Signore, devono presiedere in tutte le pubbliche disposizioni, e se più belle sono accompagnate dall’umanità e dalla beneficenza, V.M. può considerare quanto era in tal modo gratificata la domanda di questa città, e quanto sia stata differente la contraria disposizione della Real camera. Sarebbe poco degno, non diciamo di ogni buon cittadino, ma di ogni uomo ragionevole il trattar problematicamente - se l’educazione, e l’istruzione pubblica nelle Scienze e nella Morale siano utili e necessarie all’uomo -". "Quindi - si chiedeva grosso modo il Delfico -: quali sono i motivi che hanno indotto la Real Camera a bocciare l’istanza?" "Non certo per ragioni di economia", insisté, ribadendo il concetto di come nulla si sottraesse a nessuno, "né dai fondi impiegati già alla pubblica utilità o bisogni, né occorre ripetere che questo sarebbe il miglior uso da potersi fare di tali beni".    

Frattanto, nella quarta ed ultima lettera a Re Ferdinando IV, i ducati dei "beneficj religiosi sarebbero potuti arrivare a 7.000… convertibili in un uso davvero santo, tendenti al miglioramento della Morale e della vera Religione". E solo a questo punto il Delfico cominciò a manifestare chiari segni di scoramento, tirando in ballo l’ingiustificata ritrosia della Camera Reale: "Il Supremo Consesso -sostenne, infatti, - invece di ricevere ordini Vostri Supremi, derivanti da sentimenti benigni verso la costituzione dell’Università, ha sempre mostrato una certa contrarietà". Tutto ciò fece infuriare il Delfico, per quanto era possibile a quel tempo farlo trasparire in una lettera spedita ad un regnante: "Invece di riferire immediatamente a Maestà Vostra - continuò - e confermare ampliamente col suo parere quelle idee che la M.V. aveva troppo chiaramente indicate, con una lettera la Camera Reale rimise l’affare al Tribunale di Teramo per l’informo, quasi si trattasse di un affare contenzioso… Ma d’informo bisogno non vi era, perché ogni trasformazione non poteva che cadere su due articoli: il primo è che in questa città non vi erano scuole, il secondo era rappresentato dalla necessità o utilità dello stabilimento, giacché - continua sferzante il Delfico, quasi presagisse il triste finale - per il primo bastava aprire il Notiziario, e per il secondo era sufficiente ogni piccola dose di buon senso ". Mentre Teramo era in festa per la nascita dell’erede al trono (anche nella terza lettera tale sentimento di giubilo popolare fu avanzato al Re), nell’animo degli stessi cittadini covava la più profonda mestizia per il diniego dei reali verso l’istituzione dell’Università. D’altronde, fece capire il Delfico, le altre province del reame erano già dotate di tali "stabilimenti", (le università); "eccetto Lucera - continuò - che come questa città non ebbe Collegio di Espulsi"; e in una Capitale di mezzo milione di abitanti (Napoli), il mancato arrivo di poche unità di studenti non avrebbe sicuramente danneggiato l’economia locale, suggerì a Re Ferdinando, in un ultimo disperato sforzo di convinzione. A questo punto, lo studioso teramano, ormai pieno d’irritazione per la brutta piega che stava prendendo la corrispondenza, avanzò una tesi abbastanza ardita e nondimeno maligna: "Dobbiamo dunque credere - incalza - che altri motivi di più riposta sapienza abbino mosso quel Tribunale Supremo a consultare V.M. di non essere né liberale né clemente in questa occasione: giacché non dobbiamo senza ribrezzo udire le ciarle de’ maligni, che, credendo un principio naturale l’avidità senile, suppongono che la Camera Reale avendo guardati come sua preda i benefizi vacati e vacanti, o per le proprie famiglie, o per amici ed attinenti, o per altro modo di che vantano ancora particolari notizie, non abbia voluto che si dasse  l’esempio di erogarsi il piccolo fondo domandato su detti benefici". Terminò così la sua quarta ed ultima lettera indirizzata al Re, con una formula di chiusura consona a quei tempi: "Dal Padre, dunque, e dal Sovrano che pur è Padre nostro, noi attendiamo la grazia, che tutti i Padri desiderano, cioè della fondazione de’  studj, che V.M. già conobbe decorosa al Soglio, ed utile alla nazione, e come tale implorandola ci lusinghiamo di ottenerla sempre per grazia singolare.

Alla fine, il tanto vagheggiato "stabilimento" dell’università non venne concesso dal Re, e il rammarico del Delfico fu grande.

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(1)  Xxx, pag.15

(2) Giacinto Pannella, L’Ab. Quartapelle e la coltura a Teramo, Napoli, 1887, pag.124

(3) Giacinto Pannella, L’Ab. Quartapelle e la coltura a Teramo, Napoli, 1887, pag.138

(4) Ibidem, pag.16

(5) Giovanni De Cesaris, Teramo 1935 , nn 7-8 , pagg 3-8

(6) Nicola Palma, Storia della città e diocesi di Teramo, Teramo, 1834, Vol. IV, pagg. 703-4

(7) Melchiorre Delfico, Una piccola università a Teramo, pag. 144

(8) C. Campana, Un periodo di storia di Teramo, Teramo 1911, pagg. 217-18

(9)  Ibidem, pagg. 213-17

(10) V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, pag. 280

(11) C. Campana, Un periodo di storia di Teramo, Teramo 1911, pagg. 209-13

(12) R. Aurini, Dizionario bibliografico della gente d’Abruzzo, Teramo 1955, vol. II, pagg. 117-28

(13) Nicola Palma, Storia della città e diocesi di Teramo, Teramo, 1834, Vol. IV, pagg. 246-49