De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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L'omeopatia nel teramano tra

Melchiorre Delfico, Eusebio Caravelli e Rocco Rubini

di Sandro Galantini

Saggio pubblicato in "Aprutium", a. XVII, nn. 1-2-3/1999, Edigrafital, S.Atto (Te)

Risulta ormai pacifico come l'Omeopatia – ai cui persistenti concetti, sviluppati dai medici inglesi Edward Jenner e William Hunter, conferirà valore e dignità di dottrina terapeutica il sassone Samuel Friedrich Christian Hahnemann stampando nel 1769 sul "Journal fur Heilkunde" del celebre Christoph Wilhelm Hufeland il fondamentale Versuch uber ein neues Princip zur Auffindug der Heilkrafte der Arzneisebstance (1) – abbia avuto come suo epicentro di diffusione italiana Napoli, non a torto considerata la "culla dell'omeopatia" (2).

Un primato, questo dell'antica capitale del Regno, come è noto ascrivibile in buona parte al proficuo impegno di ingegni abruzzesi, ad iniziare da quel Francesco Romani (3), medico e filosofo originario di Vasto giustamente considerato il caposcuola dell'Omeopatia in Italia (4), cui si deve non solo la pubblicazione, nel 1825-26, della prima edizione italiana dell'Organon der Heilkunst, die reine Arzneimittellehre di Hahnemann (5) – di poco successiva a Il sistema medico del dr. Hahnemann, edito nel 1822 dalla Reale Accademia delle Scienze di Napoli e curato dal medico austriaco Schomberg, che aveva appreso la nuova dottrina dallo stesso Hahnemann a Koethen – ma anche le più decise e feconde sollecitazioni nei confronti di una classe medica che, pigramente adagiata su tralatizie e standardizzate manovre terapeutiche riconducibili all'aforisma ippocratico contraria contrariis curantur, stentava ancora a recepire il nuovo e certamente rivoluzionario metodo.

Sarà infatti sotto la guida e per le sollecitazioni del Romani che il clinico molisano Cosmo Maria De Horatiis (6), medico personale del monarca Francesco I e direttore della Clinica Chirurgica dell'Università di Napoli, dopo aver aderito entusiasticamente alla nuova dottrina riuscirà ad ottenere, nel maggio del 1828, il permesso regio per effettuare presso l'Ospedale Militare della Trinità in Napoli un esperimento di cura omeopatica, sotto il controllo di due medici militari e con la supervisione del collega ed ‘ispiratore' vastese.

E' proprio quel primo esperimento del 1828 – i cui risultati verranno resi noti dal De Horatiis tramite il suo minuzioso Saggio di Clinica Omeopatica, un volume che non mancherà di suscitare entusiasmo nella coeva classe medica, ma anche i primi dissensi ed i prodromi di quell'ostilità da parte della medicina ufficiale destinata in prosieguo a radicalizzarsi e a sedimentarsi nel tempo -, è con quell'esperimento del '28, si diceva, che possiamo individuare il dies a quo di un interesse nei confronti della dottrina hahnemanniana destinato, tra il 1830 ed il 1870, a conoscere il momento di massima effervescenza; un crescit eundo, non solo limitato al regno (dove pure nel 1834 operano 300 medici dediti all'omeopatia), tale da soppiantare quasi i tradizionali metodi terapeutici.

Samuel Hahnemann, Meissen 1755 - Parigi 1843, medico tedesco, fondatore della medicina omeopatica

Samuel Hahnemann, Meissen 1755 - Parigi 1843,

medico tedesco, fondatore della medicina omeopatica

Entro questa cornice acquista pertanto valore e significato l'uscita presso i torchi della tipografia teramana di Giuseppe Marsilii, a partire dal 1832, della prima edizione italiana delle Malattie croniche di Hahnemann curata dal medico toscano Bellomini (7).Sotto alcuni versi, Teramo si poneva dunque all'avanguardia nei confronti della ‘periferia' del regno, anticipando di qualche anno le interessanti esperienze sicule rappresentate dal Dispensario Omeopatico – attivato a Palermo nel 1839 -, dalla rivista "Annali di Medicina Omeopatica", pubblicata parimenti nel capoluogo siciliano a partire dal 1837, e dalla creazione della celebre Accademia Omeopatica, inaugurata solennemente il 23 giugno 1844. Questa precoce attenzione tutta teramana nei confronti di Hahnemann d'altronde aveva avuto remote scaturigini ed illustri protagonisti.

Nel 1792, al suo esordio, il "Commercio Scientifico d'Europa col Regno delle Due Sicilie" – com'è noto, il bimestrale del medico e chimico Vincenzo Comi nato nella Teramo dei Delfico con l'obiettivo di promuovere l'aggiornamento della cultura scientifica meridionale (8) – presentava un articolo proprio di Samuel Hahnemann approntato a Lipsia il 4 giugno dell'anno precedente, relativo ad un liquore d'assaggio utilizzabile come reagente per individuare nei vini la presenza di metalli nocivi per la salute (9). A questo ne sarebbero seguiti altri due, riguardanti rispettivamente la preparazione del mercurio solubile (10) ed il risultato di esperimenti a scopo terapeutico utilizzando fiele bovino (11). Si tratta di studi originali in ambito chimici e mineralogico che il medico originario di Meissen dal 1790 andava effettuando in quel torno di anni evidentemente ormai del tutto dissuaso – com'egli riferirà in una lettera al celebre Christoph Wilhelm Hufeland, suo mèntore e corrispondente epistolare – del "nulla dei metodi curativi ordinari" (12) e forse già operando in concreto per gettare le basi della sua dottrina dell'Omeopatia. Certo è che un primo e precocissimo contatto con Hahnemann veniva attivato proprio da Teramo, da un luogo cioè indubbiamente periferico però irrorato – grazie alla decisiva presenza di quella dinamica coventry provinciale formatasi attorno a Gian Filippo, Gian Berardino e soprattutto Melchiorre Delfico – di grande fervore culturale e civile, e quindi – va da sé – non incapace di dialogare in maniera proficua (grazie anche al ‘Giornale' del Comi) con i maggiori centri e con le più interessanti personalità della cultura scientifica del tempo.

Non deve pertanto stupire se proprio il protagonista per eccellenza della cosiddetta Rinascenza teramana, il ‘nume' Melchiorre Delfico, arrivi a mostrare una partecipata attenzione ai progressi di questa peculiare disciplina. In un gruppo di pagine sparse, rimaste sinora inedite e destinate forse a far parte di un'opera mai terminata comunque databili tra il 1818 ed il 1819 (13) – quindi a distanza di quasi un decennio dalla prima edizione dell'Organon di Hahnemann ma con apprezzabile anticipo rispetto all'uscita del libro di Omeopatia curato dallo Schömberg, il primo stampato in Italia – il grande illuminista teramano non manca di esaminare le teorie di Hahnemann, da lui definito "il gran fondatore del medico sapere", appalesando un interesse che altre carte inedite conservate presso l'archivio privato della famiglia Casamarte a Loreto Aprutino dimostrano persistere con singolare continuità sino agli ultimi anni di vita del Nostro (14). D'altronde tra gli studi vari e i numerosi appunti di Melchiorre Delfico compare una minuta intitolata Della specificità in medicina (15) relativa all'Omeopatia, peraltro oggetto di uno scambio epistolare che, tra il gennaio ed il settembre 1822, intercorre tra il Teramano e Francesco Romani (16).

Francesco Romani, Vasto (Ch) 1785 - Napoli 1852, medico, introdusse per primo l'omeopatia nel Regno delle Due Sicilie

Francesco Romani, Vasto (Ch) 1785 - Napoli 1852, medico,

introdusse per primo l'omeopatia nel Regno delle Due Sicilie

Questo coinvolgimento – e non in posizione subalterna – di Melchiorre Delfico (17), da un lato potrebbe spiegare l'attenzione riservata alla nuova disciplina medica da parte di taluni esponenti del mondo scientifico teramano gravitanti nell'orbita dei Delfico (non va trascurato il dato che una folta corrispondenza intercorse, a partire almeno dal 1820 e sino al 1839, tra lo stesso Francesco Romani e Diomira Mucciarelli, dal 1797 moglie di Orazio Delfico(18)), e dall'altro rende non sprovvista di ragionevolezza l'ipotesi avanzata da Luigi Ponziani di un intervento diretto dell'illustre illuminista originario di Leognano nell'impresa editoriale del Marsilii (19).

Un'impresa editoriale, c'è da dire, solo parzialmente coronata dal successo. Infatti, vero è che questa edizione, ritenuta addirittura più interessante "della traduzione francese, fatta a Parigi da Jourdan", avrebbe rappresentato per l'impresa tipografica teramana una sorta di segnacolo in vessillo, qualificando non poco l'attività del Marsilii; ma è pure vero che una serqua di problemi – principalmente l'intervenuta indisponibilità del primo traduttore e la difficoltà ad individuarne un secondo, in aggiunta forse agli elevati costi – non consentirono di realizzare nei tempi previsti il piano editoriale dell'opera, il cui quarto ed ultimo volume (per complessivi cinque tomi) vedrà la luce solo nel 1837.

L'opera peraltro si incuneava in un periodo connotato da un serrato dibattito relativo alla nuova disciplina medica che, entro i confini abruzzesi, alimentava gli interessi di esponenti del mondo scientifico e generalmente culturale dell'epoca.

Un ruolo non secondario nella diffusione delle teorie hahnemanniane è senz'altro ricoperto dal "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere e Arti", il periodico fondato a Chieti nel 1836 da Pasquale De Virgiliis che, raccogliendo un gruppo di scaltriti intellettuali formatisi a Napoli (un'elite progressista che annovera, tra gli altri, Raffaele D'Ortensio, Pasquale Borrelli e Ottavio Colecchi), persegue l'obiettivo – peraltro già accarezzato con la precedente esperienza della "Filologia Abruzzese" – di inserire la realtà abruzzese nel vivo del dibattito (evidentemente non solo letterario) contemporaneo, infrangendone l'immagine di terra chiusa nel suo isolamento, tagliata fuori dal più fecondo commercio d'idee, costretta ad un ruolo sempre e comunque subalterno (20).

E' proprio nel 1836 che il nuovo periodico del De Virgiliis accoglie sulle sue pagine un primo contributo dedicato alle teorie di Samuel Hahnemann, pubblicando la traduzione dal francese di un discorso del medico tedesco apparso l'anno prima nel parigino "Journal de la Médicine Homoeopathique"(21), cui fanno seguito, nel 1838, un nuovo intervento del molisano Giovanni Sannicola (22), una entusiastica recensione di Augusto Vecchi ad un volume sull'omeopatia del marchigiano Francesco Talianini (23) ed un lungo e articolato saggio di carattere biografico redatto da Emmanuele Rocco (24) che, richiamando uno scritto del 1837 di Francesco Romani (25), ripercorre la vicenda dell'aristocratico Sebastiano de' Guidi - cittadino francese benché nato a Guardia Sanframmondi, nell'allora napoletana provincia di Terra di Lavoro -, artefice della diffusione della omeopatia in Francia.

Questa insistita attenzione da parte di una rivista a vocazione non esclusivamente ma prevalentemente filosofico-letteraria nei confronti di una disciplina tanto peculiare (e andrebbero qui ricordate anche le numerose segnalazioni e le recensioni relative al poema filo-omeopatico di Quintino Guanciali (26)), presumibilmente è dovuta alla presenza di alcuni collaboratori del "Giornale" teatino all'interno di una tessitura di legami tra esponenti notevoli della cultura non solo regionale, in buona parte rappresentanti il fulcro del movimento riformatore meridionale cresciuto all'ombra di Antonio Genovesi.

Così sarà stato sicuramente per il letterato cepagattese Raffaele D'Ortensio, nel 1844 il primo a tradurre in endecasillabi lo Hahnemannus di Quintino Guanciali (27), un personaggio che di qui a breve avremo modo di incontrare ancora.

Così sarà stato anche per quel corrispondente e ‘creatura spirituale' di Melchiorre Delfico (28) che dal 1832, succedendo a Paolo Nicola Giampaolo, era entrato a far parte della cognita Reale Accademia delle Scienze di Napoli, Pasquale Borrelli (la cui biografia, non senza significato, sarebbe stata tracciata nel 1840 sul "Giornale Abruzzese" da un altro De Horatiis Cesare (29)), del quale proprio Francesco Romani aveva tradotto ed illustrato nel lontano 1808 i Principii di zoognosia (30), i quali, usciti in prima edizione l'anno precedente (31), rievocavano a Chieti la tradizione della ‘sapienza' di Lauberg tra gli Scolopi (32).

Quanto a Giovanni Sannicola (33) va rammentato il ruolo concretamente giocato dallo scienziato di Venafro in seno alla Società Economica del I Abruzzo Ulteriore (della quale verrà nominato socio corrispondente il 15 settembre 1830) e al "Gran Sasso d'Italia" del ‘cerusico' notare schino Ignazio Rozzi, come dire ad un ambito teramano che continuava a gravitare su Delfico.

Sulla scorta di quanto sin qui rilevato non appare né singolare né tantomeno casuale che proprio nel 1838 e per merito di un membro della Società Economica aprutina, il ‘dottor fisico' giuliese Eusebio Antonio Baldassarre Caravelli (34), veda la luce presso un'altra tipografia teramana – quella avviata nel 1832 da Quintino Scalpelli, meno ‘blasonata' del Marsilii ma parimenti destinata ad una florida esistenza (35) – un volume che già dal suo sesquipedale e particolarissimo titolo lascia trasparire in filigrana la fascinazione subita dal suo autore nei confronti della nuova disciplina medica: Macchina armonica ovvero l'armonia prodotta dall'aria elastica sui corpi sonori. Applicata alla dimostrazione approssimativa dei varii fenomeni del corpo umano secondo la Dottrina dei simili (36).

Questa "dotta memoria" – per dirla alla maniera del Sannicola, autore dell'Annunzio tipografico (segnalazione bibliografica, diremmo oggi) pubblicato dalle pagine del solito "Giornale Abruzzese" (37) – che, facendo leva su assiomi fisici e musicali e con un occhio di riguardo alle acquisizioni in Biologia del medico napoletano Ferdinando Volante, avrebbe apportato un contributo nuovo ed originalissimo ad una disciplina in forte espansione nel Regno anche in ragione della sua impostazione rigorosamente scientifica e della progressiva disistima nei confronti della medicina curativa del tempo (per gran parte – si sa – ispirata alle dottrine spiritualistiche da un lato ed al puro empirismo dall'altro), questo studio, appunto, collocava lo studioso giuliese in una posizione di assoluto riguardo tra i cultori abruzzesi delle teorie hahnemanniane, cronologicamente precedendo l'impegno a favore della nuova disciplina medica da parte del conte loretese Quintino Guanciali, definito ‘vate dell'omeopatia' per avere pubblicato nel 1840 (quindi due anni dopo il lavoro del Caravelli), guarito da una grave malattia grazie alle cure praticategli da Francesco Saverio Vitacolonna seguace della nuova disciplina, un poema, ch'ebbe grande fortuna tra i contemporanei, dal titolo Hahnemannus seu de Homoepathia nova medica scientia, con cui celebrava le nuove concezioni del creatore dell'omeopatia (38).

Anche nel caso del Caravelli – intorno al quale non è inopportuno spendere qualche parola – possiamo rinvenire ancora una volta la presenza di un intreccio umano e culturale di grande significato che non è dubitabile abbia contribuito a fertilizzar l'operosa vicenda del Nostro.

La biografia di Eusebio Caravelli - che nasce a Giulianova il 22 maggio 1781 dal medico moscianese Pio e da Cecilia De Ascentiis, di antica e doviziosa famiglia giuliese (39) – aderisce nei suoi momenti essenziali (una prima formazione locale cui segue il periodo universitario naturalmente a Napoli) ad un iter comune a tanti uomini di cultura abruzzesi del Sette e dell'Ottocento. E' forse attribuibile alla dimestichezza di rapporti col quasi coetaneo concittadino Angelo Antonio Cosimo de' Bartolomei (legato a Melchiorre Delfico da solidi vincoli d'amicizia, epistolari e persino dalla comune appartenenza all'Accademia Truentina di Ascoli Piceno(40)), la nomina del Nostro – il 2 febbraio 1819 – a socio corrispondente nella Società Economica del I Abruzzo Ultra di Teramo, erede della preesistente ed originaria Società patriottica (41) ed impegnata, con Durini, con Giuseppe Alfieri e con Gregorio De Filippis Delfico per fare qualche nome, a promuovere studi accorti e dall'ampia latitudine relativamente all'agricoltura ed all'industria, importante centro di raccordo per numerosi e prestigiosi esponenti della intellettualità provinciale e vera fucina di ricercatori (42).

Una circolazione di dati culturali certamente meno angusta così come la indubitabile possibilità di confronto con i più avveduti approdi degli scienziati dell'epoca è pensabile abbiano sospinto il Caravelli verso un eclettismo – peraltro non poco rinvigorito dal successivo ingresso come socio onorario, a partire almeno dal 1847, nella aquilana Accademia de' Velati (43), il celebre sodalizio arcadico a vocazione umanistica erede della gloriosa Aternina – che caratterizzerà buona parte della sua produzione a stampa, non foltissima degna senz'altro di attenzione.

Additano un percorso di ricerca proficuamente alimentato da peculiari e multiformi interessi, tanto il suo Opuscolo sul metodo di costruire i pavimenti a marmo artificiale od i così detti a musaico alla veneziana, la prima opera del Caravelli uscita nel 1837 dai torchi dello Scalpelli (e recensita dal solito "Giornale Abruzzese" (44)), quanto Il ravvedimento di un contadino abruzzese opera utile a' proprietari, un interessante studio di sociologia e di tecnica agricola pubblicato nel 1839 – anno nel quale Caravelli compare anche tra i Soci corrispondenti della Società Economica del 2° Abruzzo Ultra di Aquila (45) – ironicamente recensito da Enrico Ruggieri ne "Il Gran Sasso d'Italia", per il quale, da buon allievo e parente (acquisito) del Rozzi, il buon trattamento e l'istruzione "tramuterebbero i nostri servi della gleba in un popolo benemerito vigile industrioso ed utile a se stesso ed allo stato" (46).

Tra questi due lavori, come sappiamo, si situa cronologicamente la sua Macchina armonica, quasi a fungere da discrimen tra interessi suscettibili di divergere eccessivamente rispetto a quelli naturali e certamente più consoni al ‘dottor fisico' ch'egli era. E difatti, quasi a ribadire un atto di fedeltà a quella disciplina che, per quanto peculiare ed avversata, pur tuttavia era ed è una branca della medicina, il Caravelli fa seguire,a distanza di qualche anno da quel lavoro omeopatico del '38, una nuova edizione della Macchina armonica (47) uscita stavolta presso i torchi chietini di Federico Vella, gli stessi che nel 1845 stampano un libretto gratulatorio di Angelo Cosimo de' Bartolomei, l'autore della poesia apparsa alla fine del nuovo libro di Caravelli.

Il vigoroso impegno del medico giuliese a favore delle teorie hahnemanniane – avversate, in questo torno di anni, da un'agguerrita schiera di ‘allopatici' che negli Abruzzi, tra gli altri, vede nel guardiese Michele Bucceroni uno dei protagonisti eccellenti e più acrimoniosi (48) – non avrebbe mancato di spiegare effetti positivi su un altro abruzzese destinato a primeggiare nella pratica e nella diffusione della omeopatia: Rocco Rubini.

Il rarissimo ed aureo volumetto commemorativo scritto dal medico ed accademico partenopeo Tommaso Cigliano (49) è, a fronte di una carenza di notizie e di dati documentari blandamente temperata da recenti ma cursori rilievi (50), la principale fonte per lumeggiare l'impegno ed il ruolo del Rubini nella ulteriore crescita e diffusione della Omeopatia nel Mezzogiorno d'Italia.

Il più noto ‘allievo' del Caravelli ("Rammentate, che io tracciai a voi le prime orme nell'ingresso dell'Omeopatia", scrive il medico giuliese nella dedica al Rubini che apre la prima edizione della Macchina armonica) nasce a Cellino Attanasio (olim Cellino) il 4 ottobre del 1800, quando ad altre latitudini rispetto a quelle abruzzesi gli iniziali scritti di Samuel Hahnemann principiano ad erodere la validità delle facili e standardizzate manovre terapeutiche basate sull'utilizzo sin troppo generoso dei salassi e dei setoni.

La perdita in condizioni drammatiche, prima del padre Settimio – barbaramente trucidato da una banda di briganti capeggiata dai sanguinari fratelli Rapacchietta di Montegualtieri il 26 luglio del 1807 in un bosco di Monteverde, nei pressi di Cellino(51), forse per i suoi principi politici liberali -,

e nel 1809 della madre Maria Antonia Cristofari, segnerà per sempre la vicenda biografica di Rocco, che insieme coi fratelli Camillo e Cristoforo verrà accolto ed allevato in casa di uno zio a Teramo, città d'origine del genitore.

Ultimati gli sudi nel capoluogo aprutino, il Rubini prende nel 1820 la strada di Napoli, nel cui prestigioso Ateneo conseguirà dopo quattro anni di studi intensi la laurea in Medicina facendo quindi ritorno nella sua città di elezione nel 1825, dove verrà nominato Protomedico della Provincia.

L'arresto, nel 1828, di Cristoforo – coinvolto nei moti di Penne – costringerà il Nostro a tornare nella capitale del Regno per tentare di salvare dall'impiccagione il fratello tradotto a Napoli e quindi rinchiuso nella prigione del Coccodrillo a Castel dell'Ovo. Da Napoli di nuovo a Teramo, dove si tratterrà sino al 1839, per tornare quindi nella città partenopea.

E' probabilmente nel periodo ‘teramano' che il Rubini entra in contatto con Eusebio Caravelli, al quale lo lega non solo l'appartenenza a quel tutto sommato ristretto gruppo di medici autorizzati alla funzione di periti giudiziari (52), ma anche la condivisa amicizia con l'eclettico giuliese Livio De Dominicis, anch'egli – come il Caravelli e il De Bartolomei – membro della Società Economica del I Abruzzo Ultra oltre che della marchigiana Truentina ed autore del poemetto epitalamico pubblicato nel 1832 in occasione del matrimonio contratto dal medico di Cellino con la moscianese Doralice Rossi (53).

Come già detto, nel 1839 il Rubini si trasferisce a Napoli, già votato con tutta probabilità all'Omeopatia grazie alle sollecitazioni del Caravelli. Nella capitale del Regno Rocco Rubini si inserisce ben presto nel ‘circuito' degli omeopatici gravitante sul De Horatiis tramite il dottor Giuseppe Mauro, uno tra i più autorevoli sostenitori delle teorie hahnemanniane, del quale diviene collaboratore ed amico affettuoso. Sarà proprio grazie al Mauro – uno dei corrispondenti italiani di Samuel Hahnemann ed autore di opere manoscritte sull'Omeopatia, tra le quali un importante Indice sintomatico – che il Nostro affinerà le sue conoscenze riuscendo in un breve torno di tempo non solo a disporre di un solido retroterra scientifico ma anche ad acquisire una certa fama, confermata del resto dalla sua partecipazione – nella duplice qualità di Socio corrispondente dell'Accademia Omiopatica di Palermo e significativamente di Socio ordinario della Società Economica di Teramo – all'importante VII Congresso degli Scienziati Italiani tenutosi a Napoli nel 1845 (54).

Tuttavia il suo exploit il Rubini l'avrà nei primissimi anni cinquanta dell'Ottocento, dopo un periodo turbolento caratterizzato dal suo arresto ad opera dell'occhiuta polizia borbonica per motivi politici e dalla perdita della moglie.

E' il 1852 quando il medico cellinese ottiene dal principe Leopoldo Borbone il permesso di fondare a Napoli una speciale Farmacia Omeopatica, la cui sede – al numero 153 di Via Chiaia, nei pressi del Teatro Sannazaro – verrà aperta a brevissima distanza dalla sua abitazione. Qui il Rubini sperimenterà con successo l'utilizzo della Calcarea carbonica 200a nella cura dell'epilessia, e riuscirà a conseguire risultati apprezzabili in molti episodi di diarrea tabescente infantile con la somministrazione della 1a centesimale di Arsenicum. Probabilmente si inscrive in questa fase di ricerca l'iniziale utilizzo della canfora – dal Rubini adoperata in una soluzione satura di alcool che ancora oggi si chiama Canfora Rubini ed è in vendita come preparato galenico – nel trattamento del colera, in quei tempi una delle patologie più diffuse ed esiziali (55) e la cui virulenza tornerà a manifestarsi il 27 luglio 1854, quando tra gli ospiti del Regio Albergo dei Poveri di Napoli si registrano i primi casi di affezione.

 

Invitato a curare la famiglia degli uomini in questo Real Albergo dei poveri – ricorderà il Rubini nella sua Statistica dei Colerici curati omeopaticamente in Napoli (56), forse l'unica, tra le opere a stampa del medico abruzzese, salvatasi dalle confische della sospettosa polizia borbonica (57) -, io togliendo a sicura scorta le osservazioni dell'illustre Maestro [scil. Hahnemann] sulla cura del morbo ferale, comunicai sull'uso di questo rimedio [scil. l'alcool canforato] le opportune istruzioni al Comandante Signor Forni, ed al sergente Ventura Inutile, prescelto dai Superiori del luogo a primo infermiere della sala clinica de' colerici, affinché lo somministrasse nei primi momenti d'invasione del malore, riserbando a me le indicazioni dei rimedi posteriori. Avvenutane la invasione nel dì 27 luglio, qual fedele esecutore metteva l'infermiere in opera le istruzioni ricevute, e guarendo in poco d'ora i primi 14 infermieri, coraggio ed esperienza acquistò egli, al solo mestiere delle armi uso sino a quel tempo. Allorquando nella detta sala io arrivai per la ordinaria visita, trovai i malati o nella incipiente, o nella già avanzata benefica reazion della natura, che prossima annunziava la caduta del male ed il riequilibrio delle dinamiche funzioni.

L'utilizzo con esiti assolutamente positivi della canfora nel trattamento del colera verrà peraltro confermato da una missiva scritta il successivo 28 luglio dal maggiore Nicola Forni per il suo diretto superiore, il Cavaliere Filippo Pucci, Generale Comandante del Real Albergo dei Poveri.

Per delle cure di massimo rilievo che ho avuto luogo sperimentare con favorevoli risultati col metodo omiopatico – scrive dunque il Forni -, sì pe me sì, che per quelli della mia particolare famiglia, praticate dal Sig. D. Rocco Rubini, mi spinsi, intesi i casi del Colera che serpeggiavano nella Capitale, domandargli qual metodo curativo si poteva adottare nel caso che si fosse attaccato dal morbo: lo stesso [scil. Rocco Rubini] m'indicò come sperimentato, l'uso di poche gocce di spirito di vino canforato, somministrato sopra un pezzetto di zucchero, e replicato ad intervalli, da darsi alla persona subito che manifestavansi i primi sintomi del morbo.

 

Il successo della terapia adottata dal Rubini in quella struttura e, poco più tardi, presso il 3° Reggimento Svizzero (391 casi accertati di colera senza una sola perdita, un risultato ancor più appezzabile se paragonato agli esiti deludenti ottenuti dagli ‘allopatici' nell'altro R. Albergo, quello di S. Maria della Vita), non solo darà modo al medico cellinese di affermare – anche mediante una serie di inoppugnabili statistiche comparative pubblicate sul periodico "Il Dinamico" – la superiorità dell'Omeopatia nella cura del ‘cholera-morbus' rispetto ai trattamenti tradizionali, ma costituirà il fattore decisivo per l'emanazione del reale rescritto del 1855 attraverso il quale, per la prima volta, venivano poste in essere le norme per regolamentare l'esercizio delle farmacie omeopatiche in tutto il Regno di Napoli.

Secondo il biografo Tommaso Cigliano,

 

non vi è stato angolo del mondo, afflitto dal morbo asiatico, ove il nome di Rubini non sia stato ripetuto di persona in persona con gratitudine e ammirazione. Con esemplare liberalità egli divulgò il processo di cura mercé apposito proclama al popolo – ripetuto in tutte le epidemie di Napoli – esortandolo alla frugalità del vitto, alla nettezza della persona e della casa, a fuggire i disinfettanti che appestano,e a tenersi solo all'uso della Canfora, incorando a curare i colpiti con affetto e con amorevolezza senza tema di essere contagiato. […] Molti medici e filantropi, italiani e stranieri, scrissero a lui lettere lusinghiere. Una signora Inglese spese oltre 18000 franchi per divulgare l'uso della Canfora in un paese di dodicimila abitanti, ove l'epidemia colerica faceva strage, e in meno di otto giorni il male finì interamente.

Mondato degli intenti agiografici, il passo tuttavia realisticamente evidenzia il successo dei trattamenti omeopatici praticati da Rocco Rubini nei confronti del morbo, e se vogliamo giustifica la fama acquisita dal medico abruzzese, diffusa ben oltre i limiti angusti della Campania e del mezzogiorno come attestano il titolo di medico ad honorem conferitogli dall'università statunitense di Filadelfia e l'altro di socio onorario - l'unico - dell'Istituto omeopatico italiano. Non deve quindi stupire se nel 1860 al medico cellinese l'amministrazione dell'Albergo dei poveri affiderà l'ospedale della Cesaria, trasformato sotto la sua direzione in ospedale omeopatico, probabilmente il primo realizzato nel Mezzogiorno.

La montante avversione nei confronti delle dottrine hahnemanniane insieme con "l'invidia. L'amor proprio schernito, l'abitudine inveterata per secoli, l'interesse crollante di molti e la poltronerìa", come non esageratamente denunciava il silvarolo Pietro Spitilli in un suo appassionato libro scritto nel 1847 per difendere la bontà dell'Omeopatia dai virulenti attacchi di Michele Bucceroni (58), prelusero di fatto – nonostante la effettiva diminuzione dei tassi di mortalità – la prosecuzione di quell'esperienza avviata dal Rubini, sostituito nel 1863 dall'allopata Ciccone al vertice della struttura sanitaria della Cesaria.

Ci si avviava oramai, senza troppa pigrizia, a quello che per gli studiosi Galluppi e Guarino si configura come il periodo di decadenza della Omeopatia, segnalato dalla caduta esponenziale del numero dei medici dediti alla dottrina di Hahnemann, nel 1863 appena 184 contro i 500 operanti nel 1834 (59).

E difatti, nell'epidemia napoletana del 1884, come racconta il biografo Cigliano, pur offrendo la propria opera in maniera del tutto disinteressata e gratuita per curare i colpiti dal ‘cholera-morbus', il Rubini

 

Non ebbe che risposte evasive e inconcludenti, alle quali replicò da uomo libero e, senza esitanza, chiamò le autorità colpevoli della morìa, che afflisse la più incantevole città del mondo; l'agente delle imposte, in ultimo, come premio a chi lavora per l'altrui bene e per la verità, l'oppresse con imponibili e redditi professionali favolosi, vagliando la grande popolarità del medico, senza calcolare le spese ed i sacrifizii continui per sostenere le idee nuove, rinnegate e contrastate dal governo, costringendolo dapprima ad una vendita fittizia dei proprii beni, che nella sua tarda età gli fu causa di gravi dolori, e dopo – è crudele quanto vero – a chiedere volontariamente la radiazione dai ruoli degli esercenti!... (60)

Amareggiato da tanta feroce quanto ingiustificabile ostilità, il medico farà ritorno nella sua Cellino, dove pure sullo scorcio del 1884 riceverà il celebre dottor Roland Housmann Russo, venuto in questo piccolo paese teramano "per conoscere ed udire dal labbro del vegliardo i trionfi delle cure omeopatiche". Il 22 ottobre 1888 il dottor Rocco Rubini moriva a Cellino Attanasio, lasciando la moglie Rosa Ottaviano (sposata in seconde nozze nel 1869) e la figlia Maria, nel frattempo divenuta moglie di Tommaso Cigliano. Di questo illustre esponente dell'Omeopatia, come mestamente riferiva nel 1926 il podestà di Cellino De Albentiis a Vincenzo Bindi che lo aveva contattato pensando di redigere una biografia relativa al medico da tempo scomparso (61), oltre a pochi ed essenziali dati anagrafici e ad una vaga memoria non sarebbe sopravvissuto null'altro.

La farmacia Omeopatica Centrale a Napoli, fondata dall'omeopata Rocco Rubini

La farmacia Omeopatica Centrale a Napoli, fondata dall'omeopata Rocco Rubini,

nato a Cellino Attanasio (olim Cellino)1800 - ivi 1888.

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(1) Saggio sopra un nuovo principio per scoprire le virtù dei medicamenti con un colpo d'occhio sui principi seguiti fino al giorno d'oggi.

(2) Sulla genesi dell'Omeopatia in Italia si rimanda, oltre al classico lavoro di Franco ZAMMARANO, Medicina Omeopatica dalle origini ad oggi, Bologna, Cappelli, 1951, all'ancora fondamentale lavoro di Alberto LADISPOTO, Storia dell'omeopatia in Italia, Roma, Edizioni Mediterranee, 19872 (1a ediz. Roma, Università degli studi – Istituto di Storia della Medicina, MCMLXI). Per altri rilievi, oltre alla sintetica ‘voce' redatta da Gianni TOGNONI per l'Enciclopedia Medica Italiana, Firenze, USES Edizioni Scientifiche, 19832, coll.1641-1649, cfr. ancora Alberto LADISPOTO, Omeopatia, Roma, Mondadori, 1979.

(3) Su Francesco Romani, oltre al consueto Raffaele AURINI, Dizionario bibliografico della Gente d'Abruzzo, vol. III, Teramo, Cooperativa Tipografica "Ars et Labor", MCMLVIII, pp. 317-322, cfr. per tutti Concezio ALICANDRI-CIUFELLI, Francesco Romani, Roma, Università degli Studi – Istituto di Storia della Medicina [Tip. E. Cossidente], 1959, e da ultimo, Fernando GUARINO, Fernando GALLUPPI, Francesco Romani. Medico omeopata nel Regno di Napoli, Chieti, Editrice Vecchio Faggio, 1990.

(4) In questo senso, tra gli altri, Vincenzo BUSACCHI, Il contributo degli abruzzesi allo sviluppo delle scienze mediche, in Atti del secondo convegno nazionale della cultura abruzzese, volume secondo, in "Abruzzo", a. VI [1968], n. 2-3, p. 467.

(5)Pura dottrina della medicina: primo volgarizzamento italiano dell'originale tedesco di Samuel Hahnemann impresso in Dresda nel 1811 presso Arnoldo per cura del Dott. Francesco Romani, Napoli, L. Nobile, 1825-1826.

(6) Quella del De Horatiis, nato a Poggio Sannita (una volta Caccavone) il 25 settembre 1771, indubbiamente rappresenta una delle più significative ‘conversioni' alla nuova dottrina medica, avendo il medico molisano (divenuto peraltro famoso per avere eseguito, primo in assoluto, la legatura dell'arteria nell'aneurisma col metodo insegnato dallo Scarpa, nonché la litotomia e l'operazione della cataratta col metodo della depressione coll'ago curvo di Scarpa), avendo il medico molisano, dicevamo, frequentato i corsi di medicina a Montpellier, sede di una scuola ispirata a rigorosi precetti ippocratici. Cfr. in argomento i rilievi di Aldo CARANO, Centenari: V. Cuoco, Petrone, A. Marone, M. Gualtieri, S.Giovanni da Tufara, E. Spetrino, G. Volpe, Abate Paldo, nell'Almanacco. Itinerari del Molise 1971, Campobasso, Nocera Editore, 1970, pp. 29-30.

(7) Malattie croniche loro vera origine e cura omeopatica di Samuele Hahnemann. Traduzione dal tedesco fatta sull'edizione di Dresda e Lipsia 1828 da Giuseppe Bellomini dottore di medicina in Lucca, Teramo, presso Giuseppe Marsilii, 1832-1837. E' appena il caso di rammentare che di Hahnemann nel 1834 (sincronicamente con l'uscita a Parigi dei suoi Études de médicine Homœopatique), presso la veneziana Lampato veniva pubblicata l'Esposizione della dottrina omeopatica.

(8) Sul Comi e sul "Commercio Scientifico" cfr. da ultimo Sandro GALANTINI, Vincenzo Comi, in ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI CROCIANI, L'Abruzzo nel Settecento, Pescara, Ediars, 2000 (con bibliografia pertinente).

(9) [Samuel] HAHNEMANN, Per scoprire nel vino i metalli nocivi alla salute, in "Commercio Scientifico d'Europa col Regno delle Due Sicilie ecc." a. I [1792], vol. I, riprodotto nelle Opere Complete di Vincenzo Comi (176-1830), ristampa con uno studio bio-bibliografico di G.[iacinto] Pannella, Teramo, Giovanni fabbri Editore, 1911, pp. 165-167. E' noto come Hahnemann proprio a Lipsia, città nella quale aveva iniziato gli studi medici (proseguiti poi a Vienna e quindi a Erlangen dove conseguirà la laurea nel 1779 discutendo un'apprezzata tesi intitolata Cospectus effectuum spasmodico rum oetiologicus et therapeuticus) e dal 1790 luogo di dimora abituale, avrebbe esercitato la professione medica per molti anni peraltro avviando le sue prime investigazioni sulle proprietà reali dei medicamenti sperimentando su di sé il chinino per studiarne l'azione senza trascurare le ricerche chimiche e mineralogiche, discipline nelle quali non tarderà a farsi un nome.

(10) Sulla perfetta preparazione del Mercurio solubile, in "Commercio Scientifico d'Europa col regno delle Due Sicilie ecc.", a. I [1792], vol. II (in Opere complete, cit., pp. 247-251). E' appena il caso di rilevare che per un refuso tipografico il prenome dell'autore dell'articolo è erroneamente indicato con la consonante D. anziché S.

(11) Intorno al fiele, ed alle pietruzze che in esso si generano, in "Commercio Scientifico d'Europa col Regno delle Due Sicilie ecc.", a. I [1792], vol.VI (in Opere complete, cit., pp. 697-699).

(12) Cfr. in proposito L.[eonardo] Al.[estra], Omeopatica, terapia, in Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere ed Arti, vol. XXV (rist. fotolitica dell'ediz. 1935), Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1949, p. 325.

(13) La segnalazione di questi inediti, conservati presso la Biblioteca Provinciale "M: Delfico" di Teramo, dobbiamo anzitutto a Raffaele AURINI, Delfico Melchiorre, in Dizionario bibliografico della Gente d'Abruzzo, vol III, Teramo, Cooperativa Tipografica "Ars et Labor", MCMLVIII, p. 20 (46 e 47). Una nuova segnalazione si deve ora a Gabriele CARLETTI, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, Pisa, Edizioni ETS, 1996, pp. 40-42. Sul "Fondo Delfico" conservato presso la Biblioteca provinciale di Teramo, cfr. i rilievi di Marcello SGATTONI, Il "Fondo Delfico" della Biblioteca provinciale di Teramo, in "Aprutium", a. XIII [1995], n. 1-2. p. 35 e ss.

(14) Ci riferiamo ad un manoscritto del Delfico datato Teramo 5 ottobre 1829, privo di destinatario e composto di 4 facciate, folto di plurimi richiami alle premure giuntegli da Pasquale Borrelli e Francesco Romani e di riferimenti rivolti "agli Omiopatici". Cfr. in argomento Aleardo RUBINI, Testimonianze per Melchiorre Delfico, in "Notizie dalla Delfico", 2/1994, p. 15 e ID., Documenti di/su Melchiorre Delfico, in "Aprutium", a. XIII [1995], n. 1-2, pp. 33-34.

(15) Archivio di Stato di Teramo, Fondo Delfico (d'ora in avanti A.S.Te, Fondo Delfico) b.16, fasc.172, II/9.

(16)A.S.Te, Fondo Delfico, b. 24, fascc. 459 e 471.

(17) Una specifica indagine sull'attenzione riservata da Melchiorre Delfico alle teorie hahnemanniane (con la riproduzione delle missive sopra indicate) verrà pubblicata prossimamente dallo scrivente.

(18) Cfr. A.S.Te, Fondo Delfico, b. 25, fasc.527, II/24. Si tratta di 8 lettere inviate dal Romani a Diomira Delfico.

(19) Scrive difatti Luigi Ponziani che "l'impresa editoriale del Marsilii ebbe quasi sicuramente una sponda locale rappresentata dal vecchio Melchiorre Delfico (del quale non va escluso un intervento finalizzato alla stampa dell'opera)", atteso che in più occasioni, e sicuramente ante la pubblicazione della prima edizione delle Malattie croniche di Hahnemann, l'interesse mostrato dall'illuminista teramano travalica in misura apprezzabile la semplice curiosità. Cfr. Luigi PONZIANI, Annali tipografici dell'Abruzzo teramano. Il XX secolo, Teramo, Amministrazione Provinciale di Teramo-Biblioteca Provinciale "M. Delfico", 1997, p. 25 e nota 67.

(20) Su questa caratterizzazione del "Giornale Abruzzese" cfr. da ultimo i contributi di Teresa PARDI (La polemica classico-romantica nel "Giornale Abruzzese") e di Nicola SCARPONE (Prosa e poesia nel "Giornale Abruzzese di Scienze Lettere e Arti"), in Giornali e riviste in Abruzzo tra Otto e Novecento, Atti del Convegno a cura di Gianni Oliva, Roma, Bulzoni, 1999, rispettivamente pp. 45-67 e 69-126. Cfr. anche il recentissimo Il "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti" (1836-1844), a cura di Mario Cimini, Teresa Pardi, Nicola Scarpone, Roma, Bulzoni, 2000.

(21) Società Omeopatica gallicana. Discorso del dottor Samuel Hahnemann. Giornale della Medicina Omeopatica di Parigi. Novembre 1835, dal francese, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. I [1836], n. 2,pp. 89-92. Il Discorso in parola seguiva a sua volta di un anno il Traité de Matière Medicale di Hahnemann pubblicato nella capitale francese.

(22) Giovanni SANNICOLA, Medicina omeopatica – Omaggio a Samuele Hahnemann in Parigi, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. III [1838], n. 18, pp. 178-180.

(23) A.[ugusto] VECCHI, La verità dell'omeopatia – memoria del dottor Francesco Talianini, Ascoli, Luigi cardi, 1837, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. III[1838], vol.5, pp. 34-35.

(24) Cfr. "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. III[1838], vol. 7, pp. 41-49. Interessante è la notizia, data dal Rocco nel suo intervento e che l'Autore dichiara di voler approfondire "in altro apposito articolo", della prima ‘proclamazione' dell'Omeopatia da parte di uno studioso nativo di Cumigliano, ‘casale' di Capua, addirittura nel 1641.

(25) Cenno biografico del Conte Sebastiano de' Guidi introduttore della omiopatia in Francia, Napoli, dalla tipografia del Poliorama, 1837.

(26) Si vedano oltre alla segnalazione apparsa nel volume 12 del 1839, le due recensioni di Leopoldo DORRUCCI, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. V[1840], vol. 15, pp. 97-102 e pp. 62-63.

(27) Hahnemannus. L'Annemanno voltato in italiano per Rafaele D'Ortensio. Con testo latino a piede, Napoli, Stamperie e Cartiere del Fibreno, 1844. Se ne veda la relativa recensione in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", nn. LXII-LXIII, febbraio-marzo 1843, cop. int.

(28) E' – crediamo – sufficientemente noto come i rapporti tra il Borrelli ed il delfico si basassero prevalentemente anche se non in maniera esclusiva (come, a tacer d'altri, testimonia la pubblicazione nel 1810, da parte di Borrelli e diero consiglio dell'amico Delfico, di un trattatello Su la limitabilità di Ossian apparso prima nella "Biblioteca analitica di scienze e belle arti", poi in volume presso la partenopea Nobile) su comuni interessi filosofici, intorno ai quali si rimanda, per una puntualizzazione bibliografica, a Guido OLDRINI, L'Ottocento filosofico napoletano nella letteratura dell'ultimo decennio, Napoli, Bibliopolis, 1986, p. 51.

(29) Cfr. "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. V[1840], pp. 106-112.

(30) Pasquale BORRELLI, Principii di Zoognosia, tradotti e illustrati da Francesco Romani, Napoli, Angelo Coda, 1808.

(31) Principii di zoaritmia scoverti da Pasquale Borrelli e preceduti da un ragionamento istorico su la moderna medicina matematica, Napoli, Angelo Coda, 1807.

(32) Pertinenti rilievi sul ruolo del Borrelli all'interno di n'interessante tessitura di legami sono in Raffaele COLAPIETRA,Un contributo provinciale al riformismo del decennio: l'Abruzzo Ultra, in "Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria", a. LXXXIV [1994], pp. 177-233 passim.

(33) Una cursoria biografia del Sannicola è quella tracciata da Aldo CARANO, Centenari: G. Tosti, A. de Lisio, A. Compensa, G. Sannicola, A. Pistilli, nell'Almanacco. Itinerari del Molise 1969, Campobasso, Nocera Editore, 1968, p. 113.

(34) Per u sintetico profilo bio-bibliografico relativo al Caravelli cfr. Sandro GALANTINI, Le "difficili conquiste". Cultura umanistica, arte e storia a Giulianova tra Seicento e Ottocento, in Centri dell'Abruzzo, Sulmona, VIII edizione del Premio "Filomena Carrara", 1996, pp. 38-39 (con bibliografia pertinente).

(35) Sulla tipografia Scalpelli cfr. i due lavori di Lida BUCCELLA, L'editoria abruzzese dell'Ottocento, in ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI CROCIANI, L'Abruzzo nell'Ottocento, Pescara, Ediars, 1996, pp. 564 ss., e L'editoria abruzzese dell'Ottocento, Chieti-Villamagna, Tinari, 1999.

(36) Teramo, Dalla Tipografia di Quintino Scalpelli,1838.

(37) G.[iovanni] SANNICOLA, Annunzio tipografico, in "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. III[1939], n. 15, p. 165.

(38) Hahnemannus seu de Homoeopathia nova medica scientia. Libri octo, Neapoli, Typis Guttemberg, 1840. Sul Guanciali cfr. oltre al solito Raffaele AURINI, Dizionario bibliografico della Gente d'Abruzzo, vol. II, Teramo, Cooperativa "Ars et Labor", MCMLV, pp. 298-304, Concezio ALICANDRI-CIUFELLI, Quintino Guanciali, il poeta di Hahnemannus e una storia della medicina in versi, estr., Bologna-Ravenna, S.T.E.B., 1960; Mario Quinto LUPINETTI, Un dimenticato poeta latino: Quintino Guanciali, in "Quaderni del Rotary", a. XIV [1992], p. 19 e Angelo PACITTI, Voci della cultura italiana dell'Ottocento. Quintino Guanciali – Poeta latino in terra d'Abruzzo, Torino, Tip. Costa-Curtol, 1971.

(39) Sulle ‘ascendenze' moscianesi del Caravelli cfr. opportunamente Giovanna MANETTA SABATINI, Mosciano Sant'Angelo nell'Abruzzo Teramano e nel Regno di Napoli durante il secolo XVIII, S.Atto, Edigrafital, 1997, p. 367 e note 1,2.

(40) Sul rapporto intercorrente tra il Caravelli ed Angelo Antonio Cosimo De' Bartolomei cfr. Sandro GALANTINI, Eusebio Caravelli "Dottor omiopatico" e la cultura scientifica a Giulianova nell'Ottocento, in "La Madonna dello Splendore", 16/1997, spec. P.35.

(41) Relativamente alla quale si rimanda a Guido DE LUCIA, La società patriottica della provincia di Abruzzo Ulteriore I (Teramo). 1788-1798, in "Rivista di Storia dell'Agricoltura", a. V [1965], n. 3-4, pp. 308-332, 435-463, ora in Id., Abruzzo Borbonico. Cultura, società economica tra Sette e Ottocento, Vasto, Cannarsa, 1984. Sempre del De Lucia cfr. anche Dalla Società Patriottica alla Camera di Commercio, in "Notizie dell'Economia Teramana", a. XLI [1989], n. 7-9, pp. 7-17.

(42) Una attenta disamina della genesi, del successivo sviluppo e dell'importanza della Società economica teramana è in Guido DE LUCIA, La Società economica del Primo Abruzzo Ultra e l'archivio del notaio Mario Quartapelle, in "Rassegna degli Archivi di Stato", a. XXIX [1969], n. 1, p. 86 ss. (disponibile anche per estratto Roma, s.e., 1969).

(43) Sul punto cfr. Colonia Aternina de' Velati (1816-1841), a cura di Francesco Di Gregorio, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1979, vol. I, p. XXXII in nota.

(44) Cfr. "Giornale Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti", a. V [1840], vol. XLI, p. 99.

(45) Sul punto v. Guido DE LUCIA, Le Società Economiche abruzzesi (1798-1845), in "Abruzzo", a. V [1967], n. 2-3, p. 376.

(46) Cfr. E.[rrico] R.[UGGERI], Ravvedimento di un contadino abruzzese; del dott. Eusebio Caravelli, in "Il Gran Sasso d'Italia", a. II [1839], vol. II, fasc.23, pp. 362-364. In argomento v. anche Guido DE LUCIA, Una rivista agraria abruzzese dell'Ottocento preunitario. Il Gran Sasso d'Italia di Ignazio Rozzi, Teramo, Centro Abruzzese di Ricerche Storiche "Abruzzo Teramano", 1970, p. 38 e nota 12.

(47) Macchina armonica la di cui teoria porta quindi gradatamente alla teoria dell'organizzazione umana e delle sue morbosità curate omeopaticamente escogitata dal Dottor Fisico Eusebio Caravelli di Giulianova nel I Abruzzo Napoletano, socio corrispondente delle rispettabili Società Economiche del I e II Abruzzo. Edizione seconda totalmente rinnovata, Chieti, Tipografia Vella, s.d. [1840?].

(48) Sul Bucceroni (1780-1840), medico e scienziato di Guardiagrele, socio della Reale Accademia di Napoli e membro, col nome arcadico di Alessandro Aslepideo, della Colonia Aternina de' Velati di Aquila, autore di un rinomatissimo lavoro intitolato Prime linee della Medicina del Signor Le Roy basata sui tre assiomi di Newton, cui serve di appendice un parallelo tra la Medicina Aforistica d'Ippocrate e la Curativa del cennato Signor Le Roy, cfr., oltre al sintetico profilo biografico di Francesco Paolo RANIERI, Guardiagrele. Memorie e monumenti paesani, Lanciano, Tipografia di Francesco Masciangelo, MCMXXVII, pp. 184-187, la monografia di Giuseppe IEZZI, Il poeta Cav. Dott. Michele Bucceroni di Guardiagrele, Guardiagrele, Tip. A.G. Palmerio, 1934.

(49) In morte del Prof. Rocco Rubini. Parole del Dottor Tommaso Cigliano, Napoli, Stab. Tipografico Lanciano e D'Ordia, 1889. E' appena il caso di rammentare che proprio a Tommaso Cigliano fu affidata la cattedra di omeopatia, istituita nel 1895 presso l'Università partenopea e in seguito soppressa.

(50) Cfr. Fernando GUARINO, Fernando GALLUPPI, Francesco Romani, cit., p. 28 e spec. P.34; Giovanni BOSICA, Cellino Attanasio e la sua storia. Notizie, fatti e personaggi, Selva Piana di Mosciano S.Angelo, Media Edizioni, 1997, pp. 134-137.

(51) Cfr. Giovanni BOSICA, Cellino Attanasio, cit., pp. 84-85 e nota 116 e Luigi COPPA-ZUCCARI, L'invasione francese negli Abruzzi (1798-1815), Roma, Tipografia Consorzio Nazionale, MCMXXXIX, pp. 171-172.

(52) Cfr. i nominativi compresi in un elenco ufficiale di medici del 1837 riprodotto in appendice nell'articolo di Alberto SCARSELLI, Medici e Scienziati dell'Abruzzo Teramano (dopo il congresso medico), in "Teramo", a. III[1934], novembre-dicembre, pp. 22-23.

(53) Livio DE DOMINICIS, In occasione delle faustissime sponsali zie de' signori D. Rocco Rubini di Teramo e D.na Doralice Rossi di Mosciano. L'amico Riccardo Comi applaude col seguente poemetto epitalamio amore ristabilito nella purità componimento dell'accademico…, Teramo, Tip. Angeletti, 1832.

(54) Cfr. opportunamente gli Atti della settima adunanza degli Scienziati Italiani tenuta in Napoli dal 20 di settembre al 5 ottobre del MDCCCXLV, Napoli, nalla Stamperia del Fibreno, 1846.

(55) Nel biennio 1854-55 si verificò la terza ondata epidemica di colera, che tuttavia toccò tutto sommato in modo meno grave il Regno di Napoli (7,7 morti ogni mille abitanti) rispetto alle province della Lombardia (12.3 morti ogni mille abitanti) e soprattutto allo Stato Pontificio (18,9 morti su mille abitanti). In argomento v. Anna Lucia FORTI MESSINA, L'Italia dell'Ottocento di fronte al colera, in Storia d'Italia. Annali 7.Malattia e Medicina, a cura di Franco Della Peruta, Torino, Einaudi, 1984, p. 452 e ss. e tabella 6 (pp. 454-455).

(56) Statistica dei Colerici curati omeopaticamente in Napoli nel Real Albergo dei poveri nel 1854. E di quei in altri tempi omeopaticamente ed allopaticamente curati qui ed altrove. Lucubrazione del D. Rocco Rubini Socio Corrispondente dell'Accademia Omeopatica di Palermo, Napoli, Stamperia dell'Iride, 1855.

(57) A detta del biografo Tommaso Cigliano, il Rubini non solo "mano scrisse per uso proprio più che dodici volumi, che comprendono la Materia Medica di Hahnemann, le febbri intermittenti di Negri e l'Indice sintomatico dello stesso Mauro, compilato su tutta la letteratura omeopatica dal 1800 al 1832", ma fu autore di numerosi lavori, editi (come l'opuscolo, compilato probabilmente nel 1864-65, sul Cactus grandiflora) ed inediti – tra i quali uno relativo al magnetismo animale – tutti parimenti confiscati o dispersi. Cfr. In morte del Prof. Rocco Rubini, cit., pp. 12-13.

(58) Risposta apologetica del Dottor Pietro Spitilli da Silvi all'opuscolo del Cosmopolita Nicatese, Napoli, Tipografia della Sibilla, 1847. Si tratta di una risposta ad un pamphlet dato alle stampe appunto dal Bucceroni (con lo pseudonimo di Cosmopolita Nicatese) in Firenze dal titolo Le follie dell'Omiopatia.

(59) Fernando GARINO, Fernando GALLUPPI, Francesco Romani, cit., p. 18.

(60) Tommaso CIGLIANO, In morte del Prof. Rocco Rubini, cit., p. 16.

(61) Giovanni BOSICA, Cellino Attanasio, cit., p. 135.