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E' l'inno che percorre durante tutto l'Ottocento una terra parcellizzata da 
secoli di divisioni politiche; è il grido scaturito dallo slancio di generazioni 
che si avvicendano condividendo prima gli eroici tentativi di riscatto, poi 
l'orgoglio di aver ricondotto ad uno ciò che per natura (tratti fisici, 
linguaggio, discendenza) è tale; è l'invocazione "di un volgo disperso che 
nome non ha" (1) e che tende a recuperare le radici della propria identità. 
I motivi umani e politici di quest'epoca trovano nella letteratura e nelle arti 
quel privilegiato canale di diffusione che nella trasfigurazione poetica, 
narrativa, musicale e pittorica compie una traslazione del tema della nazione 
dalla sfera istituzional-politica all'ambito, per così dire, "popolare". La 
coscienza di nazione probabilmente non si sarebbe ingenerata nella gente comune  
senza l'efficacia evocativa di quest'etica che le arti le hanno potentemente 
impresso. "In tal modo il discorso nazional-patriottico potè avere una presa 
e un successo di pubblico che, per la natura dei media, gli sarebbe stato negato 
quando fosse stato affidato esclusivamente al classico trattato politico […]
Insomma, una tragedia, una poesia, un romanzo o un'opera lirica potevano più 
facilmente toccare corde profonde nell'animo di un numero incomparabilmente 
maggiore di fruitori, di quanto non fosse mai stato possibile per un freddo e 
distaccato saggio analitico" (2). 
Un motivo percorre l'intera penisola; un tema dato, che serpeggia 
contrappuntisticamente tra le voci multiformi che sorgono a cantare libertà, 
unità, fratellanza. E' il "canone risorgimentale" (3) il cui canto, con eco 
appassionata, colora di sé, a intervalli di tempo, di luoghi, di ceti sociali, 
il vivere. Così, la galleria di coloro che definiamo con riverente indicazione 
"padri della Patria" è affollata di una moltitudine di uomini - e di donne -: 
politici, intellettuali, letterati, musicisti, artisti. Volti e nomi più o meno 
noti, tutti egualmente fautori e partecipi di questo anelito unitario. All'arte 
dunque, il compito più difficile in quanto il più alto: sublimare le reali e 
pressanti necessità economiche e sociali, infondendo la consapevolezza che la 
salda comunanza di "nazione"rende forza alla fragile individualità di un 
semplice "popolo"; ad essa, attuare il fine ultimo del messaggio mazziniano 
costantemente rivolto alla promozione "di un popolo che sceglie di agire e di 
fondare se stesso come nazione" (4). All'arte ancora, affidare il proprio 
"risorgimento" e quello italico, nella misura in cui essa stessa, affrancata da 
semplice perfezionamento di metodo e da povero ornamento, va a perseguire i suoi 
più alti destini. 
"Manca alle arti, alle scienze, a tutte le dottrine chi le rannodi. Manca chi 
le concentri tutte a un intento, e le affratelli in un pensiero di civiltà. 
Manca e verrà. […] Chi ha mai levata una voce che dicesse, non ai maestri 
incorreggibili sempre, ma a' giovani che vorrebbero lanciarsi e non sanno come:" 
L'Arte che trattate è santa, e voi, dovete essere santi com'essa, se volete 
esserne sacerdoti. L'Arte che v'è affidata è strettamente connessa col moto 
della civiltà, può esserne l'alito, l'anima, il profumo sacro, se traete le 
ispirazioni dalle vicende della civiltà progressiva, non da canoni arbitrarii, 
stranieri alla legge che regola tutte le cose […]?" (5) 
Le parole di Mazzini riferite immediatamente alla musica sono assimilabili – 
come peraltro asserito dallo stesso uomo politico – a tutte le attività 
artistiche, che trovano la loro massima realizzazione nel compimento di un 
progetto morale. Testi come questo educano e accendono gli animi delle giovani 
speranze del Risorgimento italiano. La letteratura patriottica di Leopardi, di 
Foscolo, di Manzoni, di Pellico; i melodrammi storici di Rossigni, di Mercadante, 
di Bellini, di Donizetti e di verdi avviano e/o sostengono la costruzione di 
quell'idea di nazione che le inevitabili dolorose rivolte suggelleranno 
nell'unità nazionale. 
Autori "minori" accanto a quelli appena ricordati e ben più frequentati, fanno 
proprio l'assunto mazziniano raccogliendo l'invito a rendere la loro arte 
veicolo di espressione di una fede sociale. Scevri da semplici "atti d'ossequio" 
o da "buffonate imposte" (Liszt), numerosi artisti, con sincero e personale 
sentire, cantano i motivi della fede in quel comune ideale "[…] di libertà 
che rende Religion più viva; che il patrio amore accende, ma impone fedeltà" 
(6). 
Si giunge così a considerare il coinvolgimento di alcuni personaggi della storia 
teramano nelle vicende politiche dell'epoca risorgimentale. Tre nomi si 
ricordano tra gli artisti che hanno dato voce, suono, spirito e colori al fitto 
contrappunto del "canone risorgimentale": il musicista Luigi badia (1819-1899), 
la poetessa Giannina Milli (1825-1888) e il versatile Melchiorre De Filippis 
Delfico (1825-1895) fine e arguto caricaturista del mondo musicale e politico 
coevo. 
Di Luigi Badia occorre immediatamente ricordare due rappresentativi lavori 
politici: le cantate L'Italia del 1847 e il 29 gennaio 1848 e La 
costituente italiana, risalenti a un periodo di profondo impegno patriottico 
vissuto in prima persona con l'arruolamento nel Battaglione dei Volontari 
napoletani stanziato a Firenze con il quale Badia combattè diverse battaglie tra 
cui quella di Curtatone. Ma il tema dell'amor patrio, se viene abbracciato nei 
trionfalistici momenti in cui la speranza politica si infiamma, non viene 
dimenticato neppure quando il compositore sarà fisicamente lontano. Le pagine di 
numerose romanze – genere salottiero, per sua natura intimista spesso frivolo e 
spensierato – si accendono rivelando ancora un profondo impegno culturale e 
politico: la poesia si fa epica, la romanza per voce solista si amplifica in un 
afflato corale; la generazione di artisti, di poeti, di cantanti, la generazione 
dei compagni di battaglia che hanno offerto per un ideale la loro arte, la loro 
affermazione personale e la loro vita, rivive. 
Se Badia offre un canto, Giannina Milli presta al pensiero risorgimentale le sue 
apprezzate facoltà di improvvisatrice conferendogli forma poetica. Così, la sua 
prima raccolta del 1848 comprende oltre ai versi intimi sulla sua vita e sui 
suoi studi, numerosi componimenti destinati a celebrare i primi casi delle lotte 
per l'indipendenza nazionale (7). Ambasciatrice infaticabile di tali sentimenti 
anticipa idealmente l'unità d'Italia percorrendola da Napoli a Roma, dalle 
maggiori città del Granducato di Toscana a Milano, da Bologna a Torino, senza 
dimenticare i suoi viaggi in Sicilia e in numerose altre località del sud 
Italia, dove fa riecheggiare versi dedicati a valorosi patrioti (8); intesse 
rapporti con una fitta schiera di intellettuali e politici; offre conforto e 
protezione ad esuli e perseguitati politici (9). 
Gli accesi toni del Risorgimento infine, si colorano di sarcastica vivacità 
nelle caricature di Melchiorre De Filippis Delfico: Piccole tavole a colori 
accolgono il "canone risorgimentale" con elegante arguzia: personaggi, citazioni 
letterarie e musicali, situazioni geo-politiche, trovano immediata ed efficace 
espressione in numerosi bozzetti recanti pungenti didascalie. Se ne ricordano 
solo un paio per esigenze di brevità: "Quartetto Rigoletto", in cui la 
citazione verdiana "bella figlia dell'amor schiavo son dei vezzi tuoi" 
(Rigoletto – Duca, atto III, scena I) in bocca a Napoleone III che tiene in 
braccio le due neonate francesi Nizza e Savoia, ben evidenzia i patti di 
cessione dei due contadi alla Francia in cambio dell'aiuto ottenuto dai Savoia 
nella II guerra d'indipendenza che gli ha guadagnato la Lombardia; "Serenata" 
in cui Giuseppe Garibaldi alla chitarra, attorniato da tutte quelle città e 
regioni che hanno trovato l'unità, canta a Venezia – ancora sotto il dominio 
austriaco – "Ecco ridente in ciel spunta la bella aurora e tu non sorgi 
ancora e puoi dormir così?" (G. Rossini, Il barbiere di Siviglia – 
Almaviva, atto I, scena I) (10). 
Allo svolgimento di questa iniziativa il compito di una riflessione critica più 
approfondita e attenta di quanto queste brevi note abbiano potuto anticipare. 
  
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     «Italia evviva!» Percorsi letterari, 
	musicali e iconografici nell'Italia risorgimentale  | 
   
  
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