De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Il convento di S. Agostino

Sede dell’Archivio di Stato di Teramo

di Luciana D'Annunzio

La presenza dei monaci Agostiniani nella città di Teramo, seppur in veste ancora eremitica, risale probabilmente alla seconda metà del XIII secolo, anche se le notizie storiche e i documenti consultati non hanno permesso di stabilire con certezza l’anno di tale insediamento.

Lo storico Anton Ludovico Antinori negli Annali scrive infatti che, nel 1255, il priore e i frati dell’Eremo di S.Onofrio ad Cesenanum nel territorio di Penna (villa di Campli) della diocesi aprutina, fecero istanza al vescovo Matteo per poter professare la regola di S.Agostino in quel romitorio e in qualunque altro luogo della sua giurisdizione. Il vescovo aprutino li autorizzò con un rescritto emanato da Civitella il 10 agosto 1260 (1). Successivamente, questo convento ottenne indulgenze e terre crescendo anche nel numero dei frati e rendendo verosimile, quindi, che proprio da questa comunità provenissero gli Agostiniani che diedero origine al nuovo insediamento nella città di Teramo. Sulla data di fondazione del convento Niccola Palma scrive "… che nel 1362 già esistesse e fosse luogo di studio, si è veduto nelle memorie di S.Benedetto. Altro non so dirne di vantaggio; perché soppresso in forza di dispaccio segnato agli 8 settembre 1792 ed eseguito al 1 ottobre 1796, è ora moralmente impossibile indagare ove siano andate a nascondersi o a perir le sue carte (2)".

Tuttavia, uno tra i primi storici dell’ordine, l’agostiniano Tomas de Herrera nella sua opera Alphabetum Augustinianum, pubblicata a Madrid nel 1644, scriveva che nell’archivio del convento di Teramo, del quale non si aveva notizia certa di fondazione, aveva visto una bolla del papa Clemente IV, emanata da Viterbo nel 1268, con la quale il pontefice accordava il perdono dei peccati ai cittadini teramani che avessero aiutato il priore e i frati eremiti di Teramo, della Diocesi aprutina, dell’ordine di S.Agostino per la chiesa che risultava essere stata costruita in onore dei beati apostoli Filippo e Giacomo (3). Se ne deduce quindi che, a questa data, il convento esisteva già. Non è chiaro però se la bolla contenesse le indulgenze per ultimare la fabbrica della chiesa o per altro vantaggio del monastero e dei frati. A questo proposito infatti, Luigi Torelli, autore dell’opera Secoli Agostiniani overo Historia generale del Sagro ordine eremitano pubblicata a Bologna nel 1675, scrive "… E se bene il detto Errera non dice, che cosa contenesse questa Bolla, nondimeno da questo poco squarcio, che egli produce, io ne deduco, che contenesse qualche Indulgenza, o per il proseguimento della Fabbrica della Chiesa, ò per altro vantaggio del Monistero, e de’ Padri di quello: hora Teramo è Città, e il detto nostro Convento tuttavia si conserva in assai buon stato, di cui altre volte forse tornaremo à favellare (4)". Anche altri storici tra i quali Augustin Lubin e Nicola Crusenio, probabilmente attingendo all’Herrera, recano la medesima notizia (5).

Ma, al tempo della stesura della Relazione innocenziana (6) redatta il 18 febbraio 1650 da padre Battista Bonfante, priore del convento di S. Agostino di Teramo, la pergamena papale non venne trovata. Difatti si legge testualmente "Il Monasterio del Glorioso Padre S. Agostino della Città di Teramo situato dentro la Città capo della Diocesi Aprutina poco distante dalla piazza per la sua antichità e poca cura de passati non vi è special memoria del quando e come fu eretto; e dopo le diligenze al possibile usate si è ritrovato come nell’anno 1312 passò a miglior vita il Padre fratel Angelo figlio di questo convento; si presuppone però molto antico havendo sempre tenuto con se e al presente tiene il secondo luogo tra i monasteri della Provincia e nella Città precede a tutti gli altri, eccettuatone i Padri Domenicani (7) in virtù del loro privileggio(sic)…Ordinariamente vi abitano dieci et undeci  Religiosi…(8)".

A questo punto è possibile comunque determinare che l’insediamento agostiniano possa essere ricondotto al periodo che precede il 1268 e che fosse pienamente attivo nel 1312, quando, tra l’altro, stava prendendo corpo anche il nuovo assetto urbanistico della città, ricostruita ed ampliata dopo l’incendio del 1155. Essa, infatti, inizierà ad espandersi verso occidente includendo, all’interno di una nuova perimetrazione difensiva, il territorio detto terra nova, poi sestiere di S.Giorgio, dove venne a trovarsi il monastero le cui pareti a nord, che delimitavano gli annessi terreni, orti e frutteti, furono inglobate nella nuova cerchia muraria. Tale ubicazione fa supporre che S.Agostino dovette costituire un polo di aggregazione abitativa.

Pianta allegata al progetto di Carlo Forti (1810), pianta convento con orti annessi e mura di cinta della città

Pianta allegata al progetto di Carlo Forti (1810), pianta convento con orti annessi e mura di cinta della città

La comunità si sviluppò inserendosi nel tessuto socio-economico della città tanto che, nel 1420, ebbe necessità di allargare la propria struttura conventuale destinando ad altro uso la chiesa, forse allo "studium" monastico citato dal Palma, caratteristica e momento importante della Regola agostiniana. La struttura conventuale si ampliò fino a comprendere, ingrandendoli ed inglobandoli, la chiesa e l’oratorio di S. Giacomo, ubicata nelle adiacenze dello stesso convento, di proprietà della Congregazione dei Disciplinati della morte e S. Maria del Soccorso ivi eretta nel 1260 (9).

Il pio sodalizio alienò il suo luogo di culto che "… occupava tutta la nave piccola della presente chiesa [quella esistente prima dell’abbattimento del 1875] e circa la metà della nave grande, come ne fa fede l’altarino antichissimo (10) che esiste nel lato dell’epistola del presente altare maggiore…", e concorse alla realizzazione della nuova chiesa con l’elargizione di una ingente somma di denaro e con la fornitura dei materiali.

Sec. XV - Madonna del Soccorso

Sec. XV - Madonna del Soccorso

Il nuovo tempio, anche se dedicato ai Santi Filippo e Giacomo, iniziò a chiamarsi di S.Agostino; vi si edificarono dodici sepolture e tre cappelle laicali di privata proprietà (11), mentre l’altare maggiore venne impreziosito dal Polittico di Jacobello del Fiore, oggi conservato in Cattedrale nella cappella dedicata a S. Berardo (12). Fu così che ebbe inizio un rapporto molto stretto ed a volte anche conflittuale, che intercorse per secoli, tra gli Agostiniani e la Congregazione dei Disciplinati della morte e S. Maria del Soccorso la quale, in seguito, entrò a far parte della Confraternita dei Cinturati, detta anche Società di S. Monica, eretta ed approvata con decreto vescovile del 1439 nella chiesa agostiniana di S.Giacomo di Bologna (13).

La floridezza del complesso monastico è documentata dagli Statuti di Teramo del 1440 nei quali è prevista l’elezione di due economi laici per l’amministrazione dei beni (14), dallo storico  Francesco Savini il quale, nel suo Comune teramano, scrive che alla fine del 1500 le fabbriche di S. Francesco, S. Domenico e S. Agostino erano "magnifiche" e contavano la presenza di un notevole numero di frati (15) e dal volume del Catasto antico del comune di Teramo del XVI secolo recante le indicazioni di tutte le proprietà del convento agostiniano (16). Nel corso dei successivi decenni, il monastero non subì sostanziali modifiche strutturali e, alla metà del XVII secolo, nella già citata Relazione innocenziana venne così descritto "…benchè sia antico e affatto rinnovato nelle fabriche…ha tutte le comodità necessarie… Nell’ingresso d’esso Convento intorno al Chiostro vi sono oltre un Granaro grande ad uso del Monasterio sette fondachi, seu granari che s’affittano e rendono di solito scudi 17. Nel Dormitorio vi sono venti camere ad uso de Padri e forastieri. Ha la Chiesa sotto il titolo de Gloriosi Apostoli Filippo e Giacomo unita a latere d’esso Convento, et una delle più belle di essa Città, quale per esser molto commoda del continuo è frequentata; vi sono due Compagnie, una delle donne sotto il titolo di S. Monica (17), e l’altra degli huomini col sacco sotto il titolo della Madonna Santissima del Soccorso aggregata all’Arciconfraternita di S. Giacomo di Bologna, et è una delle più antiche; la fabrica della Chiesa è bella sta fatta a volta decentemente guarnita di Cappelle, et altre sopellettili sacre. Tiene esso Convento un giardino murato a latere del suo proprio sito, vi sta una piantata di viti… e un roseto…" (18).

Nello stesso periodo si registrò un sensibile incremento della consistenza del patrimonio fondiario. La Relazione elenca dettagliatamente tutte le proprietà costituite da case, masserie, vigne, oliveti dislocate nel circondario della città, ma anche nel territorio di Campli e Giulianova, date a colonia o ad enfiteusi. Riporta con precisione le rendite, quantificate in scudi, che traggono dai censi, dagli affitti e dai raccolti consistenti in grano, orzo, mosto, olio, legumi, ghiande, in parte vendute ed in parte utilizzate dai monaci. Tra le vendite, tra l’altro è annotata quella di tre  "tumolate di sale che dà il Re Cattolico", eccedente al loro consumo.

Segue nella Relazione del priore la nota delle uscite: "All’incontro detto Monasterio ha peso di messe perpetue sei la settimana; una all’Altare del Santissimo Crocifisso, tre all’altare delli Signori Michetelli; una alla Santissima Epifania et una a S. Andrea. Di più ha il peso di due messe una a Santa Lucia e l’altra alla Madonna del Soccorso e ci sono due uffici l’anno quali pesi sin al presente giorno sono pienamente soddisfatti. L’elemosine delle messe votive e quelle si acquistano inter missam sollemniam per la Chiesa una con li quattro scudi della Venerabile Compagnia che dà per l’officiatura d’essa Cappella si dividono tra sacerdoti ciascuno de quali haverà ogn’anno scudi otto e sono per vestiario non dandogli altro il Convento."

Il documento prosegue con un elenco dettagliato delle spese cui i frati dovevano far fronte: la celebrazione del Capitolo in provincia, la colletta ordinaria al "Padre Reverendissimo et Assistente d’Italia al Padre Provinciale", il Cero pasquale, l’incenso e le candele, il restauro dei tetti della chiesa e del convento come anche delle case che si davano in affitto e quelle "rusticali delle massarie", il vitto dei Padri, l’elemosina di pane per la città, l’accoglienza dei forestieri, il vestiario a cinque religiosi non sacerdoti, l’amministratore, il barbiere, la lavandaia "per suo servitio e sapone", lo speziale, la legna, la coltivazione degli oliveti, la raccolta delle olive, la molitura del grano ed infine viene indicato che"… quel poco d’entrata che sopra avanza si spende ogn’anno per uso de Padri nel Dormitorio per lenzuola, coperte e rifacimento di matarazzi et anche per li supellettili della cucina e refettorio (19)".

A proposito del priorato del teramano Bonfante il Palma, elogiandolo,  scrive che è da attribuirsi a lui il merito di aver dotato la chiesa di S.Agostino di quadri, dorature e suppellettili ma non gli perdona di aver spostato dall’altare maggiore il prezioso Polittico di Jacobello del Fiore per far posto al quadro, raffigurante S.Tommaso da Villanova circondato da poveri con S. Agostino in gloria, realizzato dal pittore Giacinto Brandi al quale il detto priore lo aveva commissionato (20). Lo storico aggiunge, inoltre, che le rilevanti spese erano state sostenute col denaro che il frate aveva ritratto dalla predicazione argomentando "… che sormontato avesse ricchi pulpiti e stato fosse applaudito oratore (21)".

Nei successivi secoli la prosperità patrimoniale degli Agostiniani, continuamente incrementata dalle numerose donazioni ed offerte provenienti dalla generosità di cittadini e di benefattori, è testimoniata sia dagli elenchi dei beni registrati nei Catasti del comune di Teramo del 1644 e del 1749, come dagli atti notarili nei quali ricorrono donazioni e testamenti i cui lasciti a favore del convento, della chiesa o della Confraternita dei Cinturati e Maria SS. della Consolazione e del Soccorso erano spesso legati, com’era in uso, alle messe e alle sepolture.

Dallo storico Palma si apprende inoltre che, il 15 agosto 1718, ad opera di Pietro del Pezzo di Salerno, caporuota della Regia udienza di Teramo, si era inaugurata presso la chiesa dei padri Agostiniani una accademia, già esistita nel XVII secolo, che doveva promuovere il culto delle "buone lettere" detta "de’ Ravvivati" la quale ebbe però breve durata (22).

Ma un dispaccio reale, datato Napoli 5 dicembre 1778, pervenuto all’Udienza di Teramo venne a turbare la consuetudine della regolare vita monastica dei seguaci di S.Agostino e, come si dirà meglio in seguito, costituirà il pretesto per la chiusura del convento.

In continuità con i principi illuministici del governo di Bernardo Tanucci, Ferdinando IV perseguiva una politica ecclesiastica tesa a rivendicare il predominio del moderno stato laico sulla chiesa. Un esempio significativo di tale sistema fu, tra le molte riforme, la soppressione degli ordini religiosi ritenuti superflui. Così, col precitato dispaccio dispose che, in mancanza di scuole e convitti nelle province del Regno, il clero regolare, ossia Francescani, Domenicani, Agostiniani e Carmelitani  "essendo parte della Società Civile, dovevano rendersi utili alla medesima, non solo con la preghiera e coll’opera spirituale, ma in qualunque altra maniera…". Ordinò, pertanto, che in tutti i luoghi del Regno demaniali o baronali, e anche nei luoghi di campagna dove vi erano conventi di frati degli ordini mendicanti, si dovevano obbligare, con la prescrizione di pene, tutti i superiori ad introdurre nei rispettivi chiostri le pubbliche scuole dove le persone, "sia degli alti ceti ed anche della più povera gente", che volevano istruirsi nel leggere, scrivere, aritmetica, nei primi fondamenti della grammatica e nel catechismo, avrebbero potuto farlo gratuitamente (23).

Non si è a conoscenza dei risultati conseguiti dalle reali disposizioni nelle province del Regno ma, un esposto inviato al Re il 20 luglio 1780 da tal Nicola Sulpizij, dietro il quale si celavano in realtà gli esponenti degli ambienti laicisti della città, segnalava non solo che gli Agostiniani di Teramo non avevano osservato gli ordini reali evitando di aprire una pubblica scuola, ma metteva in cattiva luce i frati anche dal punto di vista religioso annotando che "… due soli religiosi Sacerdoti sono, che niente fanno… Essi niun vantaggio recano al Pubblico, non coadiuvando i Parochi coll’amministrazione de’ Sagramenti, ne fanno scuola, come la Maestà Vostra prescrisse… Deve dunque sopprimersi quel Convento se tolta la gente inutile ed oziosa sarà sostituita in di lei luogo una pubblica scuola colle pingue rendite del medesimo a vantaggio del pubblico e della povera Gioventù, che non si può istruire ne’ doveri dell’Uomo e della Religione in questa città per mancanza di Maestri. Questi sono i voti e i caldi prieghi, che l’Oratore porge alla Maestà Vostra a vantaggio delle Famiglie, che non hanno mezzo da poter mantenere i propri figli fuori di questa Città… e questi spera l’Oratore di vedere secondati dalla vostra Reale Beneficenza, oggi che tutto il Regno ne vede gli effetti…(24)".

A seguito del ricorso il Re, con dispaccio del 29 luglio 1780, disponeva che il Tribunale di Teramo,  sentite le ragioni dell’Università espresse dal pubblico Parlamento, si informasse e riferisse (25). Il 7 agosto il Sulpizij, determinato a raggiungere il proprio intento, invia al Sovrano un altro memoriale.

A dimostrazione di come certo anticlericalismo fosse all’epoca circoscritto a settori ben delimitati della società, il 2 settembre 1780 il Parlamento generale cittadino, composto da tutti i capifamiglia della città e delle ville, veniva convocato nel convento di S.Agostino che, già dal 21 luglio 1765, dava ospitalità a tale civica adunanza. Nel consesso si votò "unica voce et nemine discrepante" la proposta di Felice Carice che era di parere contrario alla soppressione "…per non togliere il preggio (sic) alla città e la devozione ai fedeli…" e suggeriva di chiedere al Padre provinciale degli Agostiniani di mandare nel convento qualche monaco rispettabile che potesse istruire i ragazzi (26).

Ma la sorte degli Agostiniani era oramai segnata. Nell’ultimo decennio del ‘700 si ritenne non più differibile la necessità di dare una sede più adeguata al carcere della Regia udienza, collocato nel rione S.Leonardo nella strada detta del Trivio, che oltre a versare in cattive condizioni sia di sicurezza che di igiene, per essere frequentemente infestato da morbi epidemici, era insufficiente a contenere i detenuti. Tale esigenza, evidenziata dal Tribunale indusse il sovrano ad emanare il seguente dispaccio, datato Napoli, 8 settembre 1792, "In vista della rappresentanza di cotesta Udienza per l’ampliazione del carcere Sua Maestà ha risoluto e vuole che si sopprima cotesto conventino de’ P.P. Agostiniani per impiegarsi le fabriche per uso del carcere tanto necessario in codesta Udienza ed all’effetto con questa stessa data si danno gli ordini convenuti al Fiscale (27)".

Il 23 settembre 1792 si riunì il Parlamento cittadino che, sempre su volere del Re, avrebbe dovuto decidere circa la destinazione d’uso delle rendite del soppresso convento. A tal riguardo, si lesse una lettera inviata dalla Società Patriottica (28) di Teramo nella quale, oltre alle espressioni di  compiacimento per la decisione sovrana, si auspicava "…di diminuire il numero dei Prigionieri, ed in conseguenza quello dei delitti, che non [poteva] ottenersi senza il, miglioramento dei Cittadini…". Era desiderio quindi che con il ricavato delle rendite si stabilisse una pubblica scuola ed una "casa di educazione e d’istruzione per la gioventù, dove con una onesta pensione concorressero le famiglie alle spese del mantenimento dei giovanetti…" mentre gli argenti erano da destinarsi alla Cappella di S. Berardo protettore di Teramo. Si aprì un dibattito durante il quale presero la parola Giovan Filippo Delfico che era favorevole a quanto proposto dalla Società Patriottica, Pompeo Mancini che indicava di vendere i beni ed erigersi un Monte di Pietà ed infine Gregorio Rubini che era per impiegare il valore dei beni per la "ricompra de’ Fiscalari" ma, non essendoci accordo, si passò ai voti e, dopo ben due scrutini ritenuti irregolari dal Giudice civile, il Parlamento si sciolse senza aver nulla deliberato (29).

Erano intanto iniziate le contestazioni ecclesiastiche: in un ricorso al trono dell’ottobre 1792 il procuratore del monastero agostiniano si doleva "altamente" contro gli amministratori della città "li quali per astio avevano dato ad intendere cose non vere", perché non si era tenuto conto della risoluzione del Parlamento del 1780 contraria all’abolizione ed infine perché nessuno si era preoccupato di accertare se l’immobile potesse adattarsi all’uso cui veniva destinato. Con dispaccio del 20 ottobre 1792 il Re investì della causa la Real Camera di S. Chiara che doveva procedere sentendo le ragioni dell’ordinario, ossia del vescovo aprutino Luigi Pirelli che, nel gennaio del ’93, era a Napoli a perorare personalmente la causa. Il suo interessamento riuscì a far ritardare l’iniziativa, infatti, nel 1796 i monaci erano ancora insediati nel convento da dove si allontanarono a seguito dell’acquartieramento militare (30).

Mentre perduravano le opposizioni tese a preservare il convento il sovrano, con altro ordine del 21 ottobre 1793, chiedeva al Tribunale l’invio di 80 ducati, da prendere dalle rendite del convento, per destinare un architetto che potesse effettuare la perizia sullo stato delle carceri, la valutazione della spesa occorrente per adattare le fabbriche del convento e considerare la situazione e la sicurezza del luogo (31).

Ma, il precipitare degli eventi per effetto della Rivoluzione Francese le cui conseguenze erano arrivate anche in Italia e la necessità insorta di far fronte allo stato di guerra fecero sì che, il 17 giugno 1796, il decurionato teramano deliberasse di inviare l’illustre concittadino Melchiorre Delfico ad incontrare Ferdinando IV, di passaggio a Sulmona, ed offrirgli assieme agli omaggi tutti gli argenti degli ex Agostiniani di patronato dell’Università. Il sovrano con real carta del 22 giugno inviata per mezzo del segretario di Stato Giovanni Acton, letta nel Pubblico decurionale parlamento del 26 giugno 1796, espresse ai cittadini teramani soddisfazione e gratitudine per il successo del reclutamento della leva volontaria nella provincia, per i sentimenti di fedeltà e per l’offerta ricevuta (32). Con disposizione del 3 settembre 1796, Ferdinando IV ordinava all’Udienza di procedere alla vendita dei beni dell’abolito monastero ed impiegarsi il ricavato per i lavori di adattamento a carcere e tribunale usando tutta la vigilanza possibile onde evitare frodi (33). Al difficile momento storico-politico si aggiunsero ulteriori ritardi per l’inizio dei lavori causati dalle contraddizioni interne al consiglio cittadino per la vendita dei fondi che determinarono l’arrivo da Napoli, in data 8 luglio 1797, di un altro dispaccio reale nel quale si ribadivano i saldi propositi del sovrano sull’alienazione dei beni diretta a finanziare le opere di fabbrica sotto la direzione dell’ingegnere napoletano Francesco Carpi, in unione con la Società Patriottica di Teramo (34).

Con una supplica al Trono, Melchiorre Delfico compiva un ultimo gesto per impedire che di quei beni dell’Università disponesse il Fisco sia pure per la costruzione del nuovo carcere dal momento che gli amministratori avevano pensato di utilizzare quelle rendite per i bisogni straordinari in cui si trovavano a causa dell’accantonamento militare e per le tante civiche occorrenze quali strade, fontane, ponti ed infine le pubbliche scuole (35), mentre il Parlamento decurionale il 24 agosto 1797 aveva deliberato di far scegliere allo stesso Delfico un valente avvocato che potesse perorare a Napoli la causa per la definizione del patronato (36).

Ma anche questi estremi tentativi risultarono vani. Infatti il re Ferdinando, con altro comando del 18 agosto 1798, volle che restasse "fermo" quanto già determinato ed in merito al presunto patronato, vantato dall’Università sui beni dell’abolito convento degli Agostiniani, dispose che il decurionato dovesse dimostrare tale diritto e che, se così fosse stato, avrebbe accordato un indennizzo (37).

Intanto il 7 dicembre dello stesso anno le truppe francesi entrarono nel Regno prendendo possesso della fortezza di Civitella del Tronto e il 19 dicembre invasero Teramo. Ebbe così inizio l’effimera esperienza della Repubblica Napoletana che avrà termine il 21 giugno 1799 con il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli. Per far fronte alle emergenze e per soddisfare le richieste dei fratelli Fontana, generali delle truppe a massa stanziati in Teramo, il governo cittadino deliberò di costruire una nitriera artificiale ed una polveriera al fine di cooperare alla difesa della Provincia incaricando il chimico Vincenzo Comi il quale, nell’accordare la propria disponibilità, chiese di poter utilizzare i sotterranei e i fondaci dell’ex convento di S.Agostino affermando che erano "abbandonati all’inutilità...(38)". 

Restaurato il governo della città dopo la cacciata dei francesi, dovranno trascorrere ancora degli anni prima che prendano avvio i lavori per la costruzione della casa di reclusione. Scrive infatti Luigi Coppa Zuccari che fu premura del preside Francesco Carbone, arrivato al comando della provincia di Teramo nel 1803, intraprendere nel maggio di quell’anno "la fabbrica delle carceri, del Tribunale e di una magnifica abitazione per i presidi" (39). La redazione dei disegni per la trasformazione del convento in carcere provinciale, abitazione dei ministri di giustizia ed assistenza alle opere edilizie furono affidati al giovane ingegnere teramano Eugenio Michitelli per il quale, successivamente, si dispose il pagamento di 300 ducati, sulla base della stima fatta dall’ingegnere Giuseppe Sibbeni. Il pagamento, come prova l’atto del notaio Grue in data 27 marzo 1806, avvenne con la cessione di una porzione di orto dell’abolito monastero, su apprezzo del perito Pasquale Quartapelle (40).

Ultimati i primi lavori, quando era già iniziato il cosiddetto "decennio francese" un attestato di Berardo Porta, capitano di campagna, rendeva noto che per disposizione di Pietro de Sterlich, primo Intendente della provincia, tutti i detenuti dell’antico carcere, sito al Trivio e venduto a Berardo Savini per 2000 ducati con atto del notaio Giovanni Palombieri del 7 maggio 1803 "colla sola condizione che i carcerati avessero dovuto stare in detto carcere, financhè non si rendeva abitabile il nuovo, che dovea fruirsi nell’abolito convento di S.Agostino (41)", erano stati qui trasportati il 5 gennaio 1807 (42), mentre le altre opere previste, tribunale e abitazione del preside, non vennero più  eseguite.

Ma nella sede carceraria (43) non tardarono ad evidenziarsi diverse problematiche sia strutturali che di sicurezza e fu così che, anche a seguito del disposto del real decreto 29 giugno 1809 (44), si ordinò un nuovo progetto di ristrutturazione ed ampliamento. Dell’esecuzione progettuale da realizzare fu incaricato il teramano Carlo Forti, ingegnere in capo del Corpo reale de’ ponti e strade. L’edificio doveva racchiudere il carcere civile, quello criminale, il tribunale, il corpo di guardia, l’infermeria e la cappella. Corredato da una planimetria generale del sito dell’ex convento, dalle piante del piano terra e del secondo piano, da due sezioni e da un prospetto, "trovato regolare dal generale Campredon", venne approvato a Parigi il 17 gennaio 1810 con decreto di Gioacchino Napoleone (45). L’aspetto esterno si presentava costituito da un imponente blocco a tre livelli con un fronte principale delineato nello stile tra i più consueti esempi neoclassici, diviso in tre registri, il primo dei quali lavorato con fasce a bugnato, scandito da finestre rettangolari con balconcino e cornice classica in alto.

A seguito dei Regolamenti (46) emanati dal Ministero dell’interno, il 7 maggio 1810, l’ingegnere Forti inviò all’Intendente della provincia la sua proposta sulla disposizione dei locali per "… gli accusati di delitto grave… pe’ supposti rei di piccolo delitto, ed anche pe’ debitori e per le donne" con i rilievi attraverso i quali indicava le gravi carenze relative all’ospedale che, come previsto dalle norme, non doveva avere nessuna comunicazione interna alle prigioni e che prevedeva di realizzare ex novo al secondo piano, ai "bagni di fabbrica" e, soprattutto, alla mancanza d’acqua alla quale si poteva far fronte conducendo nel carcere quelle del canale dei mulini ubicati nei pressi del fiume Vezzola (47).

Nel novembre del 1816 l’Intendente scrisse al Ministro dell’interno che i lavori, appaltati agli "intraprenditori" Antonio Girardi e Domenico Marinari erano iniziati "con felici auspicj…". La fabbrica " fu proseguita fino allo stabilimento del Carcere Civile, del Criminale e in gran parte della Ruota stessa: ma gli eventi del tempo - fine del decennio francese e ritorno al trono di Napoli dei Borbone - e più la mancanza di mezzi fecero poi interromperla. Essa non è stata più terminata e… vi si veggono al presente in tutto il resto che rottami del vecchio edifizio parte caduti e parte cadenti…" con conseguenti problemi, non solo di stabilità soprattutto per le volte dell’edificio che minacciavano di crollare "per la debolezza e la cattiva congegnazione dell’armatura", ma anche di igiene e salute causati dall’ammasso dei detenuti in spazi troppo ristretti. Chiedeva pertanto, rifacendosi al disposto reale che aveva previsto per i lavori l’impiego delle rendite degli ex-Agostiniani, di essere autorizzato dal sovrano alla vendita di una masseria, ubicata nella contrada di Scapriano, al fine di poter continuare l’edificio (48).

Le opere di adeguamento strutturale ripresero nel 1818 e sono descritte in dettaglio nel verbale di consegna dei lavori redatto il 23 giugno 1827 alla presenza di una commissione, all’uopo costituita (49), e degli appaltatori Domenico Marinari per le costruzioni in muratura, Ubaldo Gramaccini per quelle in legno e Raffaele Celli per quelle in ferro (50). Il predetto verbale di consegna risulta molto particolareggiato sia nella illustrazione della qualità dei materiali utilizzati sia per la varietà e le tipologie delle strutture lignee e di ferro adottate. La mancanza di risorse economiche condizionò notevolmente il compimento delle opere tanto che del progetto originario di Carlo Forti, in effetti, non venne realizzato molto e l’ex convento, una volta assunta la funzione di carcere, subì successivamente numerose variazioni ed aggiunte per motivi sia di uso che di sicurezza. Ciononostante il carcere viene ancora descritto come assolutamente insicuro, insufficiente a contenere il numero crescente dei detenuti e soprattutto mancante di una differenziazione degli ambienti da destinare ad ambo i sessi, per non parlare del fatto che gli spazi esistenti erano di piccole dimensioni. Si ravvisò quindi la necessità della messa in atto dello studio di un nuovo disegno realizzato ed approvato nel 1858 ma, come si può verificare dai documenti, non attuato (51).

Con l’unità d’Italia si ebbero nuove disposizioni sull’organizzazione carceraria, in particolare quelle riguardanti l’isolamento delle donne dagli uomini e di conseguenza si produsse un altro progetto recante la data del 7 febbraio 1862 completo di piante e prospetti. E’ rappresentato in un’unica tavola dove è possibile osservare il disegno dell’antico assetto del convento, verificare le modifiche effettuate e i lavori realizzati fino a quel punto ed analizzare il nuovo, nel quale sono disposti la facciata principale, le planimetrie del pianterreno, primo e secondo piano, con tutte le indicazioni dei lavori da effettuare e delle destinazioni degli ambienti e, campite in rosso, le opere da eseguire nell’immediato per realizzare l’ala femminile (52).

Il programma dell’opera, firmato dall’ing. Gherardo Rega del Corpo reale del Genio civile e dall’ing. capo Pozzi, presenta una nuova versione della fabbrica consistente in un blocco più basso, composto dal pianterreno e un primo piano sul lato della strada a sud, molto più lungo e ampio rispetto alla versione precedente, con due "chiostri" e solo una parte più arretrata a tre livelli con la previsione, inoltre, di una notevole espansione sul lato occidentale. Sottoposto all’approvazione della Direzione generale dei lavori pubblici, sezione di Napoli, dal verbale del consiglio superiore dell’11 giugno 1862 si apprende che il piano dei lavori non poteva essere accolto per diversi motivi tra i quali: l’insufficiente sicurezza costituita dall’ubicazione a pianoterra e antistanti la pubblica strada dei nuovi locali per stabilirvi le donne, la poca garanzia per la vigilanza presentata dal secondo portico ed infine la carenza delle stanze da adibire alle arti ed ai mestieri. Il parere dell’organo competente era quello di trasferire le donne in un altro edificio ma il suggerimento non ebbe esecuzione (53).

Successivamente, le necessità in ordine alla sicurezza e le esigenze di altri spazi indussero le autorità ad eseguire ulteriori lavori: suddivisione di alcuni compresi nel pianterreno e primo piano, prolungamento del cammino di ronda e costruzione di una nuova cucina che, dal 1862, non si trovava più all’interno del carcere ma affidata ad un appaltatore esterno. Il progetto, redatto dall’assistente Giovanni Salimbeni del Corpo reale del Genio civile, reca la data dell’11 marzo 1864 (54). Nello stesso tempo, a seguito della relazione del medico sulle critiche condizioni igieniche delle prigioni, la Prefettura commissionava la redazione di un disegno per suddividere l’infermeria in ambienti minori nei quali, distinguere gli ammalati a seconda delle malattie, migliorando in tal modo le esigenze dell’infermeria stessa. Nel progetto, curato anch’esso dal Salimbeni in data del 29 marzo 1864, è possibile notare, oltre alla suddivisione delle sale per le malattie toraciche, per quelle "comunali", per gli oftalmici, per gli infermieri e per il medico e cappellano, che "i compresi", ossia le stanze delle recluse, si trovavano ancora al secondo piano del carcere (55). Un altro serio problema che diede molto da pensare agli amministratori del tempo era costituito dalla necessità di dotare l’edificio carcerario di una adeguata struttura fognaria. A tal fine nel 1886 furono redatti due progetti che prevedevano la realizzazione di un impianto con i relativi condotti afferenti direttamente al fiume Vezzola, dopo aver attraversato la nuova strada di circonvallazione definita "di passeggio" e le proprietà di alcuni privati (56).

Gli adattamenti strutturali, soprattutto in ordine alla sicurezza a causa del verificarsi di numerose evasioni, non erano però ancora ultimati. A seguito del rapporto di una ispezione ministeriale, con una nota inviata da Torino il 7 dicembre 1865, la Direzione generale delle carceri nel sottolineare al Prefetto "come la contiguità della Chiesa di S.Agostino colle carceri sia di grave minaccia per la loro sicurezza attesa la debolezza del muro di confine, corrispondente ad alcuni cameroni…" e proponendo l’occupazione della Chiesa stessa come misura necessaria perché cessasse tale pericolo, gli chiedeva di conoscere quali provvedimenti avesse messo in atto per fronteggiare tale problema. Il Prefetto, nel gennaio del 1866, faceva sapere di aver disposto il collocamento, nelle ore notturne, di una sentinella più all’esterno del carcere e di essere entrato in trattative con il priore della Congregazione cui apparteneva il luogo di culto onde avere il consenso per la sua demolizione (57).

La chiesa di S.Agostino, dopo la soppressione del convento, era stata affidata infatti alle cure dell’Arciconfraternita dei Cinturati e Maria SS. del Soccorso e della Consolazione (58) sin dal 1809, come si preciserà meglio in seguito. Ora, se da una parte vi era una evidente urgenza di separare il carcere dalla chiesa mediante un cortile per prolungare il cammino di ronda e per rendere impossibili le evasioni tramite il passaggio all’esterno attraverso il tetto della chiesa stessa, dall’altra non era così semplice abbattere un tempio costruito da secoli, molto frequentato ed amato dal popolo teramano.

Non si hanno testimonianze documentali tra il 1866 e il 1869 mentre, a decorrere dal 1870, numerosi e reiterati solleciti ministeriali venivano inviati al Prefetto, nei quali si ordinava di predisporre al più presto il progetto relativo all’isolamento del carcere e si chiedevano informazioni circa la proprietà della chiesa. La pertinenza di questa è dimostrata soltanto dalla copia di un atto del 21 aprile 1809 con il quale l’intendente Simone Colonna de Leca aveva ceduto alla Confraternita la chiesa con alcune rendite censuali per il suo mantenimento (59). In data 31 gennaio 1872 dal Ministero dell’interno giunse l’ordine di procedere all’esproprio del tempio per causa di pubblica utilità col pagamento di un indennizzo. Nel frattempo l’esecuzione del progetto, redatto da Luigi Davini ingegnere del Genio civile e approvato nell’agosto del 1872  fu rinviato, su proposta del governo, al  successivo anno per mancanza di fondi in bilancio (60). Contemporaneamente alle numerose  trattative che intercorrevano per l’isolamento del carcere tra il Governo e gli uffici locali, si cercava di dare una soluzione anche all’annoso problema di sistemare le donne recluse in locali più idonei e soprattutto di separare le "giudicabili" e le minorenni dalle condannate e dalle prostitute e, a tale scopo, con lettera del 29 maggio 1873 il Ministero dell’interno dispose che l’ufficio tecnico del Genio civile redigesse un progetto d’arte per elevare l’edificio carcerario di un  secondo piano nel lato di nord-ovest (61).

Intanto i confratelli della Congregazione dei Cinturati, alla quale erano associate le più distinte e agiate persone della città e che dal 1809, nell’amministrare la chiesa, avevano erogato "vistose somme" per restauri e nuove costruzioni come il campanile, progettato da Carlo Forti nel 1820, "l’orchestra" ossia la cantoria nel 1839 e l’altare maggiore, preoccupati oltremodo di evitarne l’abbattimento, avanzavano proposte e soluzioni diverse sia alle autorità locali che governative. Nei memoriali ribadivano che, tra le molteplici opere di carità, prestavano inoltre la loro assistenza nel carcere ai condannati a morte "durante il tempo che questi infelici stavano in Cappella sino al momento della esecuzione" e che provvedevano al loro trasporto come a quello di tutti gli altri defunti reclusi al cimitero (62). Anche il vescovo aprutino Michele Milella, nell’inviare una lettera al Ministro dei culti, faceva notare che la chiesa, era situata nel quartiere più nobile della città, che a preferenza delle poche altre accoglieva, per la sua ampiezza, una moltitudine di cittadini e che, se abbattuta, sarebbe venuto a mancare un idoneo luogo per gli uffici sacri ed infine che era da considerarsi come concattedrale poiché quando il Capitolo aprutino non poteva officiare nel duomo si serviva di S.Agostino. A seguito di ulteriori mediazioni condotte dal direttore delle carceri Oliva con i confratelli della Congrega dei Cinturati questi ultimi, il 26 giugno 1873, comunicarono al Ministro dell’interno la proposta di cedere, a titolo gratuito, quella parte della chiesa che occorreva ad isolare il carcere dichiarando inoltre di impegnarsi a pagare tutti i lavori occorrenti ed a ricostruire, nel miglior modo, la restante sezione del tempio scongiurando così la distruzione di "pregevolissimi dipinti in affresco di rinomati autori e di sepolcri gentilizi" (63).

Teramo, Piazza S. Agostino, 1906

Teramo, Piazza S. Agostino, 1906

Teramo, Piazza S. Agostino, 1920

Teramo, Piazza S. Agostino, anni '20

Dopo una prolungata serie di carteggi intercorsi tra il Prefetto e il Ministero dell’interno - Direzione delle carceri, si raggiunse finalmente un accordo con la stipula di una puntuale ed accurata convenzione conclusasi il 1 aprile 1875 tra l’Arciconfraternita dei Cinturati, rappresentata da Raffaele Quartapelle, e il Prefetto della provincia Luigi Maccaferri, delegato del Governo. Con tale intesa il pio sodalizio cedeva gratuitamente quella parte della chiesa necessaria per l’isolamento del carcere e si impegnava a costruire il muro di demarcazione a sue spese in cambio della possibilità di poter riadattare la parte restante della chiesa o, volendo, di ricostruirla liberamente ex novo, sempre a sue spese e suo esclusivo interesse (64).

Difatti, su progetto dell’architetto Giuseppe Lupi, la chiesa venne prima ristretta sul lato sinistro ma poi demolita per esigenza di sicurezza ad eccezione dell’oratorio nel quale, tra altre settecentesche opere pittoriche, Giovan Bernardino Delfico aveva firmato nel 1853 gli affreschi della volta e dei pennacchi raffiguranti rispettivamente l’Apparizione della Vergine a S. Monica e i quattro Evangelisti.

Bernardino De Filippis Delfico Bozzetto Madonna della Cintura

Bernardino De Filippis Delfico (1853) Madonna della Cintura

Bernardino De Filippis Delfico

Bozzetto Madonna della Cintura

Bernardino De Filippis Delfico (1853)

Madonna della Cintura

Ignorando completamente il preesistente e antico impianto a tre navate e distruggendo ogni testimonianza visiva della presenza agostiniana a Teramo (65) il tempio fu ricostruito in stile neoclassico ad una navata dove, su ogni lato, si aprivano sei cappelle decorate da rilievi a stucco.

Durante i lavori di riedificazione, nei primi giorni di febbraio del 1878, la "cronaca cittadina" del Corriere Abruzzese riportava la notizia del crollo della volta della chiesa che causò non pochi problemi alla Confraternita e, forse, la morte stessa dell’architetto Lupi colpito da "apoplessia" il 17 febbraio, a qualche giorno di distanza dall’avvenimento.

Dopo la sua riapertura al culto avvenuta nel 1889 (66), i Cinturati pensarono di dotare  la chiesa anche di un nuovo pulpito e lo commissionarono allo scultore teramano Luigi Cavacchioli (67) ma, col trascorrere degli anni, la chiesa di S.Agostino perse l’antico prestigio e la considerazione del popolo come dimostra una istanza dell’Arciconfraternita del 14 ottobre 1911 con la quale chiedeva al vescovo Alessandro Zanecchia Ginnetti di trasformarla in parrocchia per la decadenza delle pratiche devozionali, per la mancanza di fedeli forse causata dal fatto che il loro cappellano, a seguito delle rinnovate disposizioni vescovili, non poteva né confessare e né predicare. In seguito, il Concordato del 1929, sancito tra la S. Sede e il Regno d’Italia, stabilì il passaggio di tutte le Confraternite alla diretta dipendenza dell’autorità ecclesiastica diocesana e così avvenne anche per quella dei Cinturati con un verbale a firma del priore Gerardo Ferrara che reca la data del 9 ottobre 1935 (68). Il vescovo Gilla Vincenzo Gremigni, con bolla del 28 agosto 1948, elevò poi la chiesa di S.Agostino a parrocchia del quartiere di S. Giorgio con immissione nel civile possesso da parte dell’Ufficio amministrativo diocesano del 15 luglio 1950 (69). Negli anni ’60 la chiesa, divenuta Vicaria curata della Cattedrale, venne chiusa al culto e, dopo ulteriori restauri, fu nuovamente aperta per l’officiatura della sola liturgia domenicale.

Teramo, Piazza S. Agostino, oggi

Teramo, Piazza S. Agostino, oggi

Teramo, Chiesa di S. Agostino, Oratorio

Teramo, Chiesa di S. Agostino, Oratorio

Dell’antico splendore della chiesa e del convento agostiniano, del ruolo spirituale e sociale poco o nulla è rimasto nella memoria collettiva anche perchè, come si è visto, la chiesa medievale fu abbattuta. Copiose invece sono le fonti documentarie nelle quali le tracce dei numerosi lavori compiuti o solo progettati sono una evidente conferma che gli sforzi di adeguamento alla funzione carceraria, susseguitisi per quasi due secoli, furono la principale preoccupazione delle diverse amministrazioni centrali sia di antico regime come delle francesi e borboniche sino alle post unitarie e ciò, purtroppo, in pregiudizio della conservazione della testimonianza storica costituita dalla originaria funzione del complesso conventuale.

La perdita di identità cui l’antico monastero di S.Agostino è andato incontro attraverso le diverse sovrapposizioni e il ventennio di abbandono, dopo il trasferimento del carcere nella nuova casa circondariale, è un dato ineliminabile. L’auspicio è che la destinazione a sede dell’Archivio di Stato possa in parte recuperare e restituire alla cittadinanza un edificio plurisecolare col suo valore storico ed architettonico che ha di certo rappresentato una importante realtà per la vita religiosa e civile della città di Teramo.

S. Agostino, Chiostro

S. Agostino, interno lato sud dopo restauro

S. Agostino, Chiostro

S. Agostino, interno lato sud dopo restauro

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(1) Anton Ludovico Antinori, Annali degli Abruzzi, Bologna, Forni Editore, 1971, vol. IX, parte I, p. 251. Facsimile del manoscritto autografo inedito esistente presso la Biblioteca Provinciale "S. Tommasi" de L’Aquila.

(2) Niccola Palma, Storia della Città e diocesi di Teramo, Teramo, Tercas, 1981, vol. IV, p. 608-609.

(3) Nel passo della Bolla, riportato incompleto e che non permette in tal modo di avere un senso compiuto della frase, è scritto "Rogamus itaque Universitatem vestram et hortamur in Domino, in remissionem vobis peccaminum iniungentes, quatenus ad Ecclesiam dilectorum filiorum Prioris, et Fratrum Eremitarum Teramen. Aprutinae Diocesis Ordinis S.Augustini, quae in honorem BB.Apostolorum Philippi e Jacobi constructa esse dignoscitur". Cfr. Tomas de Herrera, Alphabetum Augustinianum,in quo Praeclara Eremitici Ordinis germina, virorumque, et faeminarum domicilia recensentur,Tomo II, Madrid 1644, p. 475.

(4) Cfr. Luigi Torelli, Secoli Agostiniani Overo Historia Generale Del Sagro Ordine Eremitano del Gran Dottore di Santa Chiesa, S. Aurelio Agostino Vescovo D'Hippona  Divisa in Tredici Secoli ...Composta, e data in luce dal R.P.F. Luigi Torelli da Bologna Maestro in Sagra Teologia, Historiografo, e Predicatore Generale dello stesso Ordine, Bologna, Giacomo Monti, 1659-1686, vol. IV, p. 745;

(5) Augustin Lubin, Orbis Augustinianus, sive Conventuum ordinis Eremitarum Sancti Augustini chorographica et topographica descriptiio…, Parigi, presso Egidio Alliot, 1672, p. 107; Nicola Crusenio, Pars Tertia Monastici Augustiniani completens epitomen historicam ff. Augustinensium a magna unione usque ad an. 1620, con aggiunte di G. Lanterio, Valladolid, 1890, p. 298.

(6) Il 17 dicembre 1649 papa Innocenzo X emanò una Lettera Apostolica con la quale, volendo arginare il problema della crescita incontrollata dei piccoli conventi, ordinò che si facesse un censimento delle comunità di tutti gli Ordini Regolari per conoscerne la situazione patrimoniale e i Religiosi che vi risiedevano, disponendo successivamente la chiusura di quelli che non avevano almeno dodici frati. Cfr. Emanuele Boaga, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1971. 

(7) Alla luce di quanto evidenziato sulla data di fondazione di S.Agostino è opportuno precisare che l’ordine temporale degli insediamenti monastici nella città di Teramo, va ordinato nella maniera seguente: Minori conventuali di S.Francesco, 1227, Agostiniani 1268, Domenicani 1287. Cfr. N. Palma, Storia cit., vol. IV, pp. 597- 608.

(8) Archivio Generale Agostiniano, Roma, Relationes Innocentianae 3/1. Abruzzo-Calabria, pp. 11-13.

(9) In alcuni documenti è indicato l’anno 1262. Cfr. Archivio di Stato Teramo, d’ora in poi A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat. 17, b. 14, f. 102.

(10) L’altarino dedicato alla Madonna del Soccorso era ornato da un affresco che la rappresentava attribuito a Giacomo da Campli, pittore attivo nella seconda metà del XV secolo. Distaccato e montato su tela si conserva nelle sale della Pinacoteca Civica di Teramo, Cfr. Pinacoteca Civica di Teramo: catalogo dei dipinti, delle sculture e delle ceramiche, Cinisello Balsamo (Mi), Pozzi, 1998, pp. 22-23.

(11) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat. 17, b. 14, f. 102.

(12) Per dettagliati riferimenti storici e bibliografici sul Polittico e su Jacobello del Fiore cfr. Fausto Eugeni, Atlante Storico della Città di Teramo. Repertorio di vedute, incisioni, planimetrie, dipinti, immagini fotografiche da Jacobello del Fiore alle prime fotografie aeree (secoli XV-XX), Teramo, Ricerche & Redazioni, 2008, pp. 18-25.

(13) Cfr. Omaggio che al piissimo e clementissimo Francesco II Re del Regno delle due Sicilie in occasione che nel fausto giorno 16 ottobre 1859 prendeva possesso della Prefettura perpetua dell’Arciconfraternita de’ Cinturati e del SS. Sacramento…Teramo, Quintino Scalpelli, [1859] e in Archivio Generale Agostiniano, Roma, Relationes Innocentianae 3/1. Abruzzo-Calabria, pp. 11-13.

(14) Francesco Savini, Statuti del Comune di Teramo del 1440, Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1889, libro I, p. 36.

(15) Francesco Savini, Il comune teramano, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato,1895, p. 429.

(16) A.S.Te, Comune di Teramo, serie II - Catasti, b. 4, vol. 1.

(17) A tal proposito nel fondo notarile, esaminato a campione, vi sono alcuni atti pubblici nei quali, alla presenza del notaio, del giudice ai contratti, dei testimoni e dei monaci Agostiniani, dentro la chiesa di S.Agostino diverse donne dichiaravano deliberatamente per la salute della loro anima, in lode e onore della Santa Madre Monica, di voler osservare l’obbedienza e la castità "cum manta" e di volersi istruire nella Religione agostiniana per tutta la loro vita. Queste donne erano conosciute anche come mantellate, pie donne aggregate al terzo ordine di S.Agostino, cosiddette per il velo nero che si avvolgevano, note anche come terziarie. Cfr. A.S.Te, Atti dei Notai, not. Febo Di Febo di Teramo, b. 91, vol. 2, anno 1614.

(18) Archivio Generale Agostiniano, Roma, Relationes Innocentianae 3/1. Abruzzo-Calabria, pp. 11-13.

(19) Ivi.

(20) Cfr. Salvatore Rubini, Una tela di Giacinto Brandi nella Chiesa di S. Agostino in Teramo, in "Teramo" Bollettino mensile del comune, gennaio 1933, n. 1, pp. 26-27.

(21) N. Palma, Storia… cit., vol. V, pp. 336-337.

(22) N. Palma, Storia… cit., vol. III, p. 413.

(23) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – serie Reali Dispacci, b. 20, vol. 80, c.246 v.

(24) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.27. La copia della supplica è allegata al verbale del generale parlamento tenuto il 2 settembre 1780.

(25) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – serie Reali Dispacci, b. 20, vol. 80, c.416 v.

(26) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c. 27 v.

(27) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – Reali Dispacci, b. 23, vol. 83, c.21 v.

(28) Fondata nel 1788, era l’organismo che, dopo aver criticamente preso atto delle condizioni economiche e morali della provincia di Teramo per poterne individuare e curare i mali, divenne propulsore del movimento che si prefiggeva di sostenere e  promuovere l’agricoltura ed il commercio. Ne facevano parte, tra gli altri, Gian Filippo e Melchiorre Delfico, Vincenzo Comi, Berardo Quartapelle, Alessio Tullj, Fulgenzio Lattanzi. Nel 1810 si trasformò in Società Economica. Cfr. Guido de Lucia, La Società patriottica della provincia di Abruzzo Ulteriore I (Teramo). 1788-1798, in "Rivista di Storia dell’Agricoltura", a. V [1965], n 3-4.

(29) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.69.

(30) Cfr. Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano (1777-1798), Roma, Edizioni di storia e letteratura 1981, p. 428 e segg. e A.S. Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, cc. 109 v.-110 r.

(31) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale –  Reali Dispacci, b. 23, vol. 83,c.179 r.

(32) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.104 v.

(33) Ivi, c.613 v.

(34) A.S.Te, Regia Udienza Provinciale – Reali Dispacci, b. 24, vol. 84, c.44 r. e v.

(35) Biblioteca Provinciale "M. Delfico" Teramo, Armadio Delfico, manoscritto autografo di M. Delfico.

(36) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.108 r.

(37) Ivi, c.150 v.

(38) A.S.Te, Comune di Teramo, Pubblici consigli del Parlamento decurionale, b. 1, vol. II, c.114 v.-115 v.

(39) Luigi Coppa Zuccari, L’invasione francese negli Abruzzi. 1798-1815, Roma Tipografia Consorzio Nazionale, 1939, vol. III, p. 326.

(40) A.S.Te, Atti dei Notai, notaio Domenico Antonio Gabriele Grue di Teramo, b. 795, vol. 35, c.142.

(41) A.S.Te, Atti dei Notai, not. Giovanni Palombieri di Teramo, b. 1362, (1803), cc. 93-100.    

(42) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 968, f. 1.

(43) A.S.Te, Intendenza Francese, b. 31, f. 473. Dallo stato delle prigioni compilato nel 1809, a due anni dal trasferimento e, in ordine alla sicurezza si legge che "Il sito di questo Carcere centrale della Provincia è una estremità della Città fra il settentrione della medesima, attaccato da un lato alla chiesa dei soppressi Agostiniani, con un largo sufficiente innanzi al suo ingresso, ed un lato che è isolato ed è il più esteso e in distanza di due tiri di fucile dal Fiume chiamato Vezzola, Restandovi intermedii un orto, antiche mura della Città, ed il territorio di un privato. La ventilazione, che si ha lungo il canale di questo conferisce alla salubrità dell’aria che vi si Respira. Dopo alcuni riattamenti ultimamente eseguiti la sicurezza è confirmata abbastanza. Solamente sono malsane le Camere per la forza armata per la umidità essendo state una volta magazzeni da conservar generi. Le stanze di detenzione sono nel numero di 14 cioè due dette per il Civile, la prima inferiore detta corsea capace ordinariamente di 40 individui ed in casi straordinari anche di 70; la seconda superiore capiente di n. 45 nel primo caso  fino a 80 nel secondo. Di comunicativa con questa vi sono altre due camere all’uso medesimo la più estesa della capienza di 5 a 9 persone e l’altra più ristretta di 2 a 4 al più. Attaccata a quest’ultima vi è la camera, che abita l’ajutante del Maestro di Giustizia adatta per un sol uomo. Segue questa l’altra adatta alla detenzione delle Donne da capire 11 a 20 individui. Viene poi quella destinata per l’Ospedale delle donne della capienza di 4 a 6 di esse. Vi è quindi l’Ospedale per i maschi di due membri, l’uno e l’altro da contenere 19 a 30 dei medesimi. Una camera inferiore detta Criminale è della capacità di ventisei a 50 Prigionieri. Esistono inoltre 4 segrete ciascuna sufficiente per un reo. Tre sono le camere per il Custode adatte per n. 3 individui. E due per la forza capaci di 16 armati".

(44) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 986, f. 1.

(45) Archivio di Stato Napoli, Decreti Originali, vol. 32, ff. 88-94.

(46) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 986, f. 1.

(47) A.S.Te, Intendenza Francese, b. 34, f. 532.

(48) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 968, f. 10.

(49) La commissione era composta dall’ingegnere provinciale Lodovico de Vito, assistito dai Deputati alle opere pubbliche provinciali Giovan Michele Thaulero e Salvatore Corradi, dai componenti la Commissione delle prigioni, Andrea Gentileschi delegato dall’intendente, Gioacchino Villani Regio procuratore generale, Carmine Ferrarelli, giudice di Gran corte delegato dal presidente della Gran corte medesima e da Giorgio Manoja, amministratore delle prigioni in A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 981/a, f. 23.

(50) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 981/a, f. 23. Nel documento è descritta tutta la disposizione dell’edificio della quale se ne riporta qualche breve stralcio: "…a pianterreno nel braccio di ponente tre segrete separate da tre piccoli corridoi ed un camerino addetto alla conservazione della "guillettina"… nel braccio di mezzogiorno la scalinata che conduce al primo piano, il Corpo di guardia esterno, l’androne, il Corpo di guardia interno, un passaggio, una spaziosa cucina con focolajo alla Romana con fornacelle sotto la cappa del camino, il portico… la facciata intonacata ed ornata di bugne convesse negli angoli dell’edificio ed intorno ai vani di portone e di bugne piane intorno ai vani a lume tutte di stucco sopra ossatura a mattoni ed il cordone che corona il basamento parimenti coverto di stucco sopra ossatura di mattoni, tutte le suddette bugne e cordone tinte color gialletto sopra fondo color piperno… le mura intorno al vaglio rivestiti a mattoni..il dippiù di fabbrica a pietra arricciata ed imbianchita terminati da una merlatura a mattoni sostenenti i parapetti pel passaggio della sentinella sulla sommità de’ muri ed una galitta parimenti di fabbrica a mattoni nell’angolo tra ponente e settentrione… nell’aia del detto vaglio una cappella con facciata decorata di ordine ionico e frontone, con vano arcato nel mezzo coverta a volta di mattoni in piano sotto del tetto con altarino alla Romana e cornice di stucco intorno al quadro nel muro in fondo compita di stucchi e pavimenti di quadri arrotati… nel braccio di levante al piano superiore cinque segrete e al di sopra dell’ultima  delle dette camere attaccate alla Torre antica una camera al 2° piano per far simmetria col corpo di fabbrica opposto… Nel piano superiore del braccio a ponente il correzionale di sopra ripartito in quattro cameroni… nel secondo piano della prigione antica l’ospedale e la prigione delle donne…".

(51) Il progetto non si conserva tra le carte della Intendenza Borbonica ma è più volte citato. Cfr. A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 969/2, f. 22.

(52) Ivi.

(53) Ivi.

(54) A.S.Te, Prefettura II 7, serie I, cat. 17, b. 1, f. 5.

(55) A.S.Te, Prefettura II 7, serie I, cat. 17, b. 2, f. 16.

(56) A.S.Te, Prefettura versamento ’95, serie I, cat. 2, b. 10, f. 14.

(57) A.S.Te, Prefettura II 7, serie I, cat. 17, b. 1, f. 9.

(58) La Confraternita dei Cinturati e di Maria SS. della Consolazione e del Soccorso che, con decreto del 7 luglio 1851, aveva aggiunto anche il titolo del SS. Sacramento fu sempre celebre e rinomata. Ebbe privilegi e riconoscimenti da diversi pontefici per le pratiche di carità, per l’esercizio frequente dei divini uffici, per l’alto numero dei confratelli e per aver annoverato tra i prefetti due sovrani: Ferdinando II e Francesco II. Si distinse però, come testimoniato in vari documenti conservati presso l’Archivio di Stato, anche per i molti dissidi e le numerose liti avute con le altre Congregazioni cittadine. Particolare rilievo presenta la controversia con la Confraternita della Madonna della Sanità, eretta nella chiesa dello Spirito Santo, che venne denunciata dal priore dei Cinturati, come risulta dal verbale del 3 marzo 1796, perché da alcuni anni svolgeva la processione del Venerdì Santo con le stesse modalità e in contemporanea a quella organizzata dai Cinturati, con evidenti inconvenienti per l’ordine pubblico e disagi per la devozione. Questi ultimi, sin dal tempo della loro costituzione, avevano promosso l’organizzazione della predetta processione antelucana, e ne vantavano l’esclusiva. La causa venne dibattuta a Napoli nella Real Camera di Santa Chiara la quale, con nota del 24 marzo 1797, dispose che entrambe le Confraternite potevano fare la processione ma con la differenza che prima doveva uscire la Congregazione dei Cinturati assegnando alla medesima due ore per il giro e, che ritiratasi questa, poteva uscire la congrega dello Spirito Santo per altre due ore "affin di evitarsi ogni futuro inconveniente, e sconcerto, senza potersi in menoma parte contravvenire al sudetto stabilimento e sistema", cfr. A.S. Affari Ecclesiastici, b. 30, f. 808. Le altre controversie che agitarono per molto tempo i Cinturati erano relative all’ordine di precedenza nelle processioni. Per tale problema si pronunciò il Sacro Regio Consiglio con decreto inviato da Napoli il 24 novembre 1785 col quale si stabilì che le quattro confraternite cittadine si dovevano "alternare in ciascun anno nell’esercizio della precedenza nelle pubbliche funzioni". I Cinturati non accettarono tale risoluzione e inviarono alle autorità competenti suppliche e ricorsi nei quali vantavano il titolo di Arciconfraternita e di conseguenza il diritto di precedenza ma, anche questa volta, i motivi addotti furono respinti con la determinazione del Consiglio di Stato pervenuta da Napoli il 25 agosto 1848, cfr. A.S.Te, Luoghi Pii Laicali – Corrispondenza, b. 284, f. 336. E’ opportuno, infine, fare accenno ad un altro lungo dissidio che agitò i Cinturati e il comune di Teramo  per il possesso del Polittico di Jacobello del Fiore che, iniziato nel 1889 si concluse nel 1907 con la restituzione del dipinto alla Confraternita.

(59) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat. 17, b. 14, f. 102 e Atti della Direzione, b. 35, f. 13.

(60) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat. 17, b. 14, f. 102.

(61) Ivi.

(62) A.S.Te, Intendenza Borbonica, b. 986, f. 87 e  Luoghi Pii Laicali – Corrispondenza, b. 284, f. 336.

(63) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I, parte I, cat. 17, b. 14, f. 102.

(64) A.S.Te, Prefettura versamento ’95, serie I, cat. 2, b. 3, f. 5

(65) A.S.Te, Prefettura II 8, serie I parte II, cat. 17, b. 2, f. 13

(66) Cfr. Elisabetta Di Francesco, La chiesa ed il convento di S.Agostino a Teramo. Notizie storico-architettoniche, in Notizie dalla Delfico, n. 2/1990.

(67) Cfr. Teramo com’era, a cura di Fernando Aurini, Clemente Dino Cappelli, Fausto Eugeni, Marcello Sgattoni, Roma, Editalia Librerie dello Stato, 1996.

(68) Archivio Vescovile Teramo, busta sulle Confraternite di Teramo.

(69) Archivio Vescovile Teramo, busta sulle Parrocchie. Teramo Cattedrale, Rione di S. Giorgio (1873-1982).

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Lo studio è pubblicato in: 

L'Archivio di Stato di Teramo nei Conventi di San Domenico e di Sant'Agostino: luoghi di storia, cultura e memoria e Il Plebiscito del 21 ottobre 1860, Teramo - Ricerche & Redazioni Giacinto Damiani Editore - 2010, mostre allestite in occasione dell'apertura della nuova sede di Sant'Agostino, inaugurata il 14 ottobre 2010.