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           I salotti della musica, la musica 
			dei salotti  | 
         
       
      
      
      "In Teramo una nobile donna raccoglieva nel suo palazzo secentesco [sic], 
      ricco di opere d'arte e di un magnifico giardino pensile, i cittadini 
      notoriamente avversi al regime borbonico; ed era la contessa Marina 
      Delfico, ultima della sua stirpe, vedova di Gregorio de Filippis, conte di 
      Longano, e madre di Trojano e di Filippo, esuli in Grecia e in Francia, e 
      di quel Melchiorre juniore, spirito di fine caricaturista, del quale si è 
      parlato in altra parte di questo libro. Nelle sontuose sale del palazzo 
      Delfico, dove morì il grande Melchiorre, e dove si accede per una scala 
      addirittura regia, convenivano Vincenzo Irelli, che fu il sindaco della 
      rivoluzione, e poi fra i primi senatori del regno d'Italia; Berardo e 
      Settimio Costantini, Francesco e Berardo Bonolis, l'abate Quartapelle, 
      Giuseppe Antonio Crocetti, Stefano de Martinis, protettore della Milli, 
      Niccola Forti, Giovanni de Benedictis, letterato e poeta, e le famiglie 
      Ginaldi, Pompetti, Valentini, Michitelli. Prima del 1848 avevano 
      frequentato l'ospitale casa dei Delfico il Gammelli, i fratelli 
      Bucciarelli, uno dei quali morì pure nel bagno di Pescara; e Michelangelo 
      Forti, prete liberale di gran cultura e carattere eroico, morto nella 
      galera di Nisida. Ricordo pure Pasquale della Monica, pittore napoletano, 
      andato a Teramo col conte di Longano, e padre dell'insigne artista, che 
      conobbi a Teramo nell'ottobre scorso, quando vi fui ospite dei giovani 
      conti Delfico, figlio del defunto senatore e degni discendenti dell'ultimo 
      degli Enciclopedisti. Appresi particolari curiosi circa la vita di Teramo 
      di allora. Le riunioni in casa Delfico finirono nel 1857 [recte 
      1867], quando morì la contessa. Si ricorda che la serata caratteristica 
      era quella di mezza quaresima, quando si segava la vecchia, dopo la 
      lettura del testamento, che veniva fatta con comica serietà dall'avvocato 
      Carlo Ginaldi; col qual testamento la vecchia lasciava, prima di 
      morire, graziosi e ricchi ricordi agl'invitati. Si riceveva in casa del 
      ricevitore generale Ciotti, ma vi andavano più uomini che donne, e così 
      pure ai suoi non dimenticati pranzi; si faceva un po' di musica in casa 
      Ferraioli; ma, tutto compreso la vita sociale era povera cosa. Poiché la 
      città aveva pessima illuminazione, non era permesso girare, dopo le otto 
      di sera, senza una piccola lanterna, e su chi trasgrediva piovevano 
      legnate o minacce. Benché il teatro in legno fosse angusto e pericoloso, 
      aveva due stagioni molto frequentate e brillanti: prosa nell'autunno e 
      musica nel carnevale, e portava il nome dei proprietari Corradi e Gatti. 
      Il bel teatro di oggi fu costruito nei nuovi tempi. Era capo urbano 
      Beniamino Rozzi, figlio di un giudice regio di Notaresco, borbonico 
      fierissimo; l'ultimo intendente Morelli fu uomo egregio e funzionario 
      intelligente, e punto intinto di pece reazionaria, tanto che i borbonici 
      più facinorosi lo denunziarono più volte al re. L'ultimo generale 
      comandante la provincia si chiamava Veltri, e non era né carne, né pesce; 
      e il vescovo don Michele Milella, frate domenicano, godeva molte simpatie. 
      In quegli anni Teramo esultava per i trionfi della sua concittadina 
      Giannina Milli, nata da povera gente, e che si affermava improvvisatrice 
      illustre in tutta Italia. In Teramo vi era infine una specialità, che va 
      ricordata: quella di due farmacie politiche, una considerata il centro del 
      partito borbonico, condotta da don Nicola Ruggieri, brav'uomo e 
      professionista intelligente; e l'altra di don Giuseppe Antonio Crocetti, 
      sotto il portico del Comune, centro del partito liberale. Il Crocetti 
      aveva fama di chimico sapiente e anche di filosofo" (1). 
      
      A oltre un secolo di distanza, l'eloquente e pittoresca cronaca di 
      Raffaele de Cesare tramanda in veste letteraria la descrizione di un 
      particolare aspetto della vita culturale teramana dell'Ottocento. 
      
      Dipinta a caldi toni, la scena cittadina è ambientata in quei domestici 
      luoghi che costituirono il fulcro vitale della discussione politica, 
      dell'attività culturale e dell'aggregazione sociale, ed è animata da quei 
      personaggi che ne furono gli insigni protagonisti. Infatti, accanto ai 
      tradizionali pubblici luoghi di trattenimento – teatro d'opera e sala da 
      concerto -, il salotto privato, oltre che costituire motivo d'incontro e 
      di svago, rappresentò l'ideale mediazione tra le esigenze sociali di un 
      ceto dominante che oramai omologava nobiltà e borghesia e un linguaggio 
      musicale contestualmente plasmato secondo idee e comportamenti 
      consolidati. 
      
      Dal salotto, paradigma di una società in miniatura, il dialogo politico e 
      quello letterario, la mondanità o il pettegolezzo, le discussioni d'arte 
      come il raffinato compiacimento tra l'ascolto di una poesia o di una 
      languida melodia, migrando di casa in casa raggiungevano immancabilmente 
      l'orecchio attento dei cronisti locali che con impeccabile puntualità ne 
      riferivano settimanalmente nelle accattivanti rubriche dalla superba 
      intestazione "hight-life"… "Si va. La corte del palazzo Delfico è già un 
      ridente giardino; alberi, fiori, viali; una fontana manda in aria, molto 
      su, zampilli d'acqua, che mettono i brividi a Bacco […] E' stupenda 
      davvero!... La grande scala del palazzo, opera egregia ed ammirevole di 
      architettura, è artisticamente illuminata. Gl'invitati la saliscono tra un 
      torrente di luce, per essere accolti con la più squisita gentilezza e 
      cordialità dai socii, deputati a quell'ufficio […] In un salotto, tra le 
      due sale da ballo addobbate, ed illuminate con gusto ed eleganza, è posta 
      la musica. […] Giunge il conte Delfico con la famiglia, si levano 
      fragorosi ed unanimi applausi. Luisa Marcosignori e le altre della 
      deputazione offrono alla contessa un bel mazzo di fiori; l'egregio nostro 
      amico Orazio Albi, legge: Fiori modesti alla nobil donna la Contessa 
      Bianca Delfico. E' una poesia ispirata, e diffonde una soave 
      malinconia, che giunge al colmo, chiudendo con i versi: E queste foglie 
      che un bel verde imbruna / Aimè cadranno domani ad una ad una / Non 
      l'affetto morrà di chi c'invia / Fior di modestia, fior di leggiadria. 
      Applausi vivi e prolungati. La contessa con nobil parole ringrazia il 
      poeta; e noi stringendo la mano al prof. Sinigallia, è un vecchio 
      patriota, gli diciamo, che teco sinceramente si rallegra e ti fa plauso" 
      (2). 
      
      A onor del vero, la raffinata penna del nostro cronista riferisce su 
      un'occasione non squisitamente salottiera ma su un evento di più ampio 
      respiro che, pur infrangendo i canoni intimistici del genere, vi si 
      inserisce come pendant nel quale i tratti e le caratteristiche del 
      "far salotto" sono comunque conservati e rispettati. 
      
      La tradizione salottiera di stampo locale, infatti, si identifica 
      maggiormente con quella consuetudine di gusto borghese in cui accanto alla
      causerie e al dibattito impegnato coesistono le forme più delicate 
      della musica vocale e strumentale insieme a quelle più disinvolte della 
      musica da ballo: "Dunque, il nostro amico [avvocato Alessio De 
      Berardinis], libero pensatore, (per chi nol sappia caldo ammiratore di 
      Hegel) ci ha regalato una sera di geniale passatempo. Alla otto p.m. già 
      le note del pianoforte echeggiavano sotto le arcate volte delle sue 
      stanze: alcune signorine passeggiavano a braccetto dei loro cavalieri, 
      allegramente cicalando: qualche bigio papà in un appartato gabinetto, ove 
      carte di giuoco si trovano, scacchiere e persino gl'innocenti giochi delle 
      dame, leggeva la Gazzetta d'Italia, l'Opinione e che so 
      altro. Ma lasciamo da parte la politica, che, come il sale nelle minestre, 
      oggi vuol far capolino dappertutto, e tiriamo innanzi. Waltzer, waltzer si 
      bisbiglia: nò, nò, polka, marzuka,…quadriglia invece dice qualcuno, poiché 
      abbiamo uno che tanto gaiamente le comanda nel sempre giovane ed allegro 
      Giudice Orsini; ma a tanti desideri tira di sgembo il maestro di 
      pianoforte ed accenna una marzuka. In un baleno la sala è invasa, e la 
      danza sotto i migliori auspici incomincia. Mentre in una stanza si balla, 
      in un'altra si fuma; si conversa, si giuoca! E' un colpo d'occhio 
      gradevole! La t'occorre alla vista un cavaliere, che, non provetto 
      nell'arte di Tersicore, incespica nello strascico della dama, e mormora un
      pardon appena intelligibile; qua un giovane di belle speranze che è 
      alle prese, sganascia anzi con un sigaro Magliani, ed impreca al nuovo 
      ministro con tutte con tutte le Regie cointeressate: in fondo un signore 
      sulla quarantina, che rimprovera al compagno di tressette uno sbaglio 
      madornale; insomma tanti e poi tanti diversi accidenti ti si presentano, 
      che c'è da restar contentini davvero. Segue un waltzer, che passa senza 
      infamia e senza lode; viene poi una polka sentimentale; eccoci alla 
      sospirata quadriglia. La voce del Giudice Orsini suona come il fulmine di 
      Giove Capitolino, e, tra alcuni pasticci più o meno grossi e l'ilarità 
      generale, si conduce a termine il ballo. […] Or eccoli ad una nuova parte 
      di divertimento. Una signorina E. C., nò, voglio dir tutto, la signorina 
      Elvira Cellini prende posto al piano, e le sue eburnee ed agili manine 
      scorrono veloci sulla tastiera del clavicembalo ed Aida sospira 
      sotto le sue dita incarnate. L'aria dell'Egizia fanciulla Morir sì 
      bella e giovine affascina tutti, ma più potentemente quelli che, come 
      me, ebbero la fortuna di sentirlo questo capolavoro dell'immortale cigno 
      di Busseto. Suona anche la Mandolinata con difficilissime 
      variazioni la signorina, ed una salva di applausi corona alla fine la sua 
      provata valentia nella più simpatica delle arti. […] E da ultimo? Nulla 
      mancò perché tutto riuscisse bene davvero! Paste, gelati, vini a bizzeffe 
      erano a disposizione di tutti, sino i fiori, guardate! Che mente 
      provvidenziale ebbe mai quel benedetto Hegeliano del De Berardinis" (3). 
      
      Così Ipsilon firma il suo reportage: una cronaca sentita, come tutte 
      quelle che si potevano leggere sui due più diffusi periodici teramani, il 
      "Corriere Abruzzese" e "La Provincia". 
      
      Ora La bemolle, ora il corrispettivo enarmonico Sol diesis, 
      ora Fra-Militone, ora Furio, ora Biscroma, ora 
      Quattrocchi – per citare solo alcuni degli pseudonimi più intriganti 
      sotto cui il giornalista di turno celava la propria identità – riferiscono 
      sempre generosamente e con encomiabile schiettezza su ogni avvenimento 
      culturale cittadino, consuetudine quanto mai importante considerato che 
      "gli scritti sulla musica fanno parte della storia della musica come le 
      opere musicali, le istituzioni e la prassi esecutiva, e la forma specifica 
      che essi assumono in una data epoca fa parte dell'effige della storia 
      musicale di quell'epoca" (4). 
      
      I giornali cittadini, dunque, non trascurarono mai di rilevare ogni nuovo 
      evento e di valutarne, com'era d'abitudine, la qualità dell'esecuzione 
      musicale. Ricordiamo ad esempio l'inaugurazione della nuova sede del 
      Casino in casa Pompetti, in riferimento alla quale la penna impietosa e 
      pungente di Fra-Militone, non mancò di riportare le osservazioni 
      del direttore del "Corriere Abruzzese" che aveva sentenziato, rivolto 
      all'orchestrina, "benino, ma con balli un po' invecchiati", e di 
      aggiungere la sua personale esortazione: "Maestro Dati l'hai capito? 
      Scuotiti dal letargo!" (5). 
      
      Rammentiamo ancora il commento di La Bemolle nella cronaca di una 
      soirée musicale-danzante in casa Palma: "Chiusero la I parte del 
      trattenimento la Serenata sentimentale e la Nevrosi, Gran 
      Walzer di concerto, eseguite dal maestro Pepe, lavori di sua composizione. 
      Io son nemico delle accademie di pianoforte (sebbene sia suonatore) perché 
      il piano, stando la distanza del suonatore dell'istrumento, non è come il 
      violino, cui si può dare la espressione giusta; però sentendo il Pepe ho 
      dovuto ricredermi: Egli si discosta dalla comune dei suonatori di piano. 
      Le difficoltà sono da lui eseguite con precisione inappuntabile. Sicuro 
      nel tocco, composto nelle posizioni, possiede in sommo grado scioltezza, 
      agilità ed indipendenza delle dita, ammirevole nella mano sinistra; e ciò 
      contribuisce a far sentire staccato e preciso il canto, dall'accompagno e 
      dagli arpeggi" (6). 
      
      La citazione di questo stralcio offre, inoltre, l'occasione per attardarsi 
      su generi e forme del repertorio salottiero, che, nella cangiante varietà 
      di colori, echeggia atmosfere sentimentali, brillanti e descrittive in una 
      veste che asseconda al contempo le esigenze di artisti e di egregi 
      dilettanti. Nei salotti teramani – Ferraioli, De Petris, Ponno, Savini, De 
      Sanctis, Ciotti, Lucci, Sardella, Prefettura…per nominarne solo alcuni 
      oltre quelli altrove mentovati – i programmi musicali annoveravano tra un
      table à thé e un cotillon i più bei pezzi 
      caratteristici dell'epoca: 
      
      "PARTE PRIMA 1. Concerto per arpa per la signorina E. Silla. 2. Fantasia 
      originale per pianoforte del maestro A. Cipolloni, eseguita dalla 
      signorina Aminta Cozzi. 3. Leggenda Valacca. Serenata del maestro 
      Gaetano Braga, cantata dalla signorina Amalia Ferraioli, con controcanto 
      di violino ed accompagnamento di pianoforte. La parte del violino sarà 
      eseguita dal sig. G. Pachini. 4. Sonnambula di Thomas, gran 
      concerto per due arpe per le signorine A. Guarducci ed E. Silla. 5. 
      Cavatina del Machbet di Verdi cantata dalla signorina Lucia de 
      Matteis. 6. Fantasia per violino sul Trovatore di Verdi eseguita 
      dal sig. G. Pachini. 
      
      PARTE SECONDA 7. Amore e morte, romanza per baritono sig. Leoni. 
      Poesia del sig. Faustino Cellini, musicata dal maestro A. Cipolloni. 8. 
      Ihon Thomas The Winter, pezzo caratteristico per arpa eseguito 
      dalla signorina A. Guarducci. 9. Intermezzo e strofe, Le parlate d'amor, 
      sul Faust di Gounod per la signorina A. Ferraioli. 10. Concerto per 
      arpa, eseguito dalla signorina E. Silla. 11. Duetto del Nabucco di 
      G. Verdi, cantato dalla signorina L. De Matteis e dal signor P. Q. Leoni. 
      12. Una lagrima sulla tomba di Meyerbeer, del Ciardi, gran 
      concerto per due violini, due arpe, pianoforte ed armonium, nel quale 
      prenderanno parte le signorine A. Guarducci, E. Silla, ed i signori A. 
      maestro Cipolloni, P. Q. Leoni, G. Pachini, F. De Carolis e De Petris" 
      (7). 
      
      Ma a quale scuola si formava la schiera delle innumerevoli e gentili 
      signorine, le cui manine morbide e le dita affusolate e rosee suonavano 
      con tanta disinvoltura e precisione da strappare i plausi dello scelto 
      uditorio? Chi plasmava con tanta perizia le dolci voci dei giovani 
      interpreti rendendole piene di grazia e di espressione? Primo fra tutti il 
      maestro Alfonso Cipollone, teramano di adozione, che tante energie profuse 
      nel dar l'avvio a una stabile istruzione musicale; e accanto a lui, 
      Francesco Roma, Nicola Dati, ma ancor prima Camillo Bruschelli, noto 
      maestro di cappella che secondo antica tradizione fu punto di riferimento 
      per qualsivoglia occasione musicale che abbisognasse di nuova produzione… 
      "al maestro Bruschelli ducati 4;00 per compenso della composizione de' 
      valzer e quadriglie." (8). 
      
      Quanto sinora descritto col conforto delle cronache locali, pur nella sua 
      brevità delinea i tratti caratteristici del mondo salottiero intimamente 
      connesso al lento ritmo di vita che nell'Ottocento si svolgeva nelle città 
      italiane. Con il modificarsi dell'uso del tempo e dello spazio, fruiti in 
      una dimensione sempre più accelerata e funzionale ai nuovi costumi e alle 
      nuove esigenze, "quando la famiglia iniziò a perdere la sua centralità 
      anche nel processo produttivo, quando gli spazi abitativi si restrinsero, 
      la casa ed il salotto borghese vennero disertati. Si iniziò ad andare "in 
      società" ovvero ai circoli cittadini che sorsero ovunque, alle società di 
      concerto, ai caffè, ai club, a teatro" (9). Questa dimensione più 
      allargata e democratica non negò, soprattutto in un piccolo centro di 
      provincia come Teramo, quell'atmosfera di gioviale familiarità che ad 
      esempio Giuseppe Savini, intellettuale versatile della storia culturale 
      teramana, seppe mantenere viva durante il suo ufficio di Presidente del 
      Casino di conversazione "[…] nel trattare amichevolmente coi soci e nel 
      desiderarne le pure, domestiche gioie; nel promuovere convegni di dolce 
      godimento intellettuale e feste di serena letizia; che valessero ad 
      affratellare vieppiù gli animi e a conservare tra le cospicue famiglie 
      teramane e quelle forestiere, d'impiegati la più parte, i vincoli 
      dell'affetto e della stima scambievoli e a formarne dei nuovi; nulla 
      piacendogli di più che la città se ne avvantaggiasse in gentilezza di 
      costumi, in dignità, in buon nome" (10). 
      
      La trasformazione delle abitudini sociali coinvolge anche la musica da 
      salotto che alle soglie del nuovo secolo, temperati gli accenti più 
      sentimentali, tesse la sua trama sonora tra le maglie di nuovi generi e 
      forme. Già sintesi ideale tra l'espressione musicale "colta" e "leggera", 
      per inevitabile metamorfosi, consegna al nuovo secolo un tesoro da cui 
      attingere a piene mani. Il gusto moderno potrà goderne ancora in nuove 
      forme e significati. 
      
      
        
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                Piantina di Teramo (Particolare)  | 
         
       
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