| Lettera n. 4  Cara Mammà = Non è mia colpa, né influenza di D. 
		Liborio se nemmen questa volta ho potuto eseguire la bramata ascenzione. 
		Il tempo che è stato sì lungamente chiaro, e che ci ha dato delle 
		giornate calorosissime fino alla disperazione, ha tutto in un colpo 
		preso altro stile. Nugoloni spaventevoli, venti a riprese ma aspri e 
		veementi, un elettricismo soprattutto da far terrore, sono stati i miei 
		compagni nella mia prima arditissima mossa, e nella pertinace stazione a 
		Montorio. Là appena giunto, sebbene tanto terribile fosse l'apparato 
		dell'atmosfera, pur la speranza di un cambiamento ci fè tutto disporre 
		per l'indomani, onde partir di buon ora e trovarci prima della seguente 
		notte in luogo di sicurezza alle falde del Monte-Corno, per poi 
		ascenderlo il giorno seguente. Ma circa le ore sette della notte fummo 
		avvertiti della sciocchezza dè nostri piani da un tuono che non è stato 
		mai sentito il simile per la durata e pel fragore. Tutte le circostanze 
		altresì che lo accompagnarono sono straordinarie: egli fù unico, sebbene 
		vi fosse nell'atmosfera un immenso elettricismo, essendo frequentissimo 
		il lampeggiare, e fù sentito in varj paesi ben lungi fra loro con la 
		stessa vivacità, e producendo lo stesso terrore. A Teramo però cadde il 
		suo fulmine; gli servì di conduttore un campanile dal quale passò nella 
		prossima chiesa recando qualche danno agli altari. Il rumore, e lo 
		spavento che in me produsse fù tosto cancellato dalla scena buffa che 
		agì il padrone della mia casa, uomo corpulento e specioso, che dormiva 
		in una stanza vicino alla mia; il quale capitombolò dal letto e, 
		credendo essere perseguitato dal fulmine, corse per le stanze che erano 
		perfettamente nel bujo, dando di testa e di gambe, ora alle porte, ora 
		ai muri, ed ora alle sedie e tavolini; in tal modo pose tutta la casa in 
		bisbiglio, ed un fratello canonico che è tanto dotto quanto può esserlo 
		il vostro Gaetano, si pose in ginocchione recitando ad alta voce 
		giaculatorie temendo di un prossimo scotimento, effetto solito ad 
		avvenire quando piove dopo le lunghe arsure. Tutto ciò si passava nella 
		mia stanza, ed all'oscuro; mi posi intanto alla meglio una giubba, e 
		battendo il mio acciarino mi riuscì accendere un lume; ma quale 
		graziosissimo spettacolo: esso mi procurò! Vidi il Canonico in pettola 
		nella situazione indicata, con un grosso Cristo in mano, e D. Peppe (ch' 
		è il nome del padrone di casa) pur senza calzoni che avea già preso 
		posto sotto un arco di porta tenendosi là ben fermo, nell' attenzione 
		dello scotimento, (nome ch'essi davano al terremoto), ma essendo passato 
		del tempo, ed il sonno facendosi più sensibilmente sentire che la paura, 
		ognuno riprese letto: il Canonico però non volle tornare nel suo, e si 
		ficcò in quello del fratello, che non è dè grandi. Così ne passò la 
		nottata e la mattina fù il più vigilante che si alzò alle dieci. Il 
		tempo continuò ad essere torbido e minaccioso, e la partenza fù 
		differita per il giorno se rivedevasi il Sole; infatti apparve sul mezzo 
		giorno, e dopo due ore erano in ordine le cavalcature ed i viaggiatori, 
		meno uno che tardava, ed era D. Pietro Marcozzi, il quale, non sò se per 
		la paura del tuono o del viaggio, erasi ammalato: mi parve buona creanza 
		non lasciarlo in questo stato, e così fù differita la mossa; nè ebbi 
		motivo dolermene in seguito, poichè non tardò molto a venire pioggia 
		impetuosa con tuoni non distanti,  nè piccioli. La mattina dopo fui lo 
		svegliarino della casa, ed era ancor notte, l'aria era pur torbida, e mi 
		convenne rinunciare definitivamente al viaggio, perciò ripresi la mia 
		strada, lasciando Marcozzi, cui la febbre non permise moversi da letto. 
		Eccovi un esteso racconto, il quale se noja vi ha recato, può servire 
		almeno di giustificazione onde non crediate che D. Liborio l'ha vinta. 
		Molte cose vorrei rispondere alla vostra lettera se il tempo non mi 
		mancasse; solo non tralascerò dirvi sul fatto di Mariella che i miei 
		sentimenti, poichè partono dalla ragione, non cambiano come le sue 
		volontà; desidero intanto che siano smentiti e dichiarati inetti dal 
		fatto, essendomi più a cuore il bene di una Sorella, che il trionfo 
		delle mie opinioni. Sul punto interessi ed affari, qual desolante 
		apparato! Se non vi sono capitati i danari che da lungo tempo ho creduto 
		inviarvi non è dipeso da me: Taddeucci o mi ha imposturato, o lo è stato 
		lui stesso; gli ho scritto perciò con risentimento più volte, ed oggi 
		farò lo stesso; quindi siate sicura che vi perverranno fra giorni. Nel 
		mese entrante potrò aggiungere ancora altri cinquanta d(uca)ti ne 
		bisognano; non dico più, giachè quasi tutto il pagamento di Scorpione 
		servirà per torre debiti, che già sapete quali siano. Intanto 
		gl'Ingegneri dormono e chi sa quando potrà farsi la causa: Pazienza. Il 
		gusto del mio palato troppo vi è noto, e posso assicurarvi che non è 
		cambiato, quindi se avete la buona volontà di fargli bene, sapete come: 
		le mostraccere, che fa zia Luisa, non potrebbero viaggiare? Per 
		incombenza vi prego prendermi quattro oncie di pezzettine a varj colori, 
		di zuccaro, col senso spiritoso, di quelle propriamente che una volta 
		vendea la Madama à Guantari, e che oggi trovansi dappertutto. Se le 
		monache volessero lavorare in credenza, gli ordinerei de' frutti 
		sciroppati di stagione per regalare. E se voi avrete la spedizione de' 
		miei danari farovvi un'altra preghiera, cioè d'acquistarmi un busto 
		elastico per un uomo grasso, di quei che si lavorano da un francese à 
		guantari Vecchi. Zia Chiarina è stata ben contenta dell'abito e del 
		turbante, e ve ne fa i più estesi ringraziamenti. Conservatevi in buona 
		salute, e salutatemi le sorelle ed il fratello: a Papà tante cose per me 
		e per Marina la quale vi bacia affettuosamente la mano col  V.(ostro) Aff.(ettuosissimo) Figlio Gregorio  Teramo 27 agosto 1824 |