De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Album di famiglia

di Paola Sorge

Pubblicato in Sogno di una sera d’estate. D’Annunzio e il Cenacolo Michettiano, Chieti, Ianieri Editore 2004

 

Dopo una gita al Gran Sasso o dopo un periodo di intenso lavoro, gli artisti di Francavilla si recano spesso a far visita ai più cari amici e "compari" di Michetti: Simone e Vinca Sorge Delfico che abitano a Nereto, un paese operoso situato al centro della Val Vibrata, in provincia di Teramo.

Lui è un grande proprietario terriero ospitale e generoso che accoglie gli amici alla sua "mensa fiorita" rallegrata dal "vino di topazio e di rubino" e "illuminata magnificamente" dal sorriso della padrona di casa – parola dell’immaginifico d’Annunzio, subito conquistato dalla bella e raffinata Donna Vinca.

Alla giovane e nobile teramana discendente del filosofo illuminista Melchiorre Delfico, egli scrive una serie di lettere traboccanti ammirazione e seduzioni.

Ma l’opera di conquista del poeta, che raggiunge il culmine negli anni 1887-’88, non va proprio secondo le speranze del consumato dongiovanni.

Egli ammira Vinca sin da quando aveva sedici anni e seguiva con lo sguardo la sua figuretta sottile che usciva da Villa Delfico di Montesilvano - una villa inaccessibile al poeta, come tutte le dimore patrizie - e passeggiava lungo il litorale.

"… Ero un fanciullo e camminavo lungo la riva del mare con la vaga speranza d’incontrarvi…" scrive il poeta a Vinca nel settembre 1888.

Colpito da quel nome rarissimo "il nome di un fiore cupo e vellutato che cresce all’ombra delle siepi" - la pervinca -, egli lo dà al personaggio di una sua novella, Favola sentimentale, entrata poi a far parte della raccolta Il libro delle vergini. Ma curiosamente, Vinca De Rosa, l’avvenente e decisamente sexi zia di Cesare, che conquista cinicamente il nipote e fa morire di crepacuore la sua innamorata, Galatea, è l’opposto della riservata e religiosissima sposa di Simone che si ritrae costantemente di fronte alle avances del poeta.

Che sia questa una sorta di raffinata vendetta da parte dell’intraprendente poeta che si sente rifiutato? 

Vinca Delfico a 18 anni

Vinca Delfico a 18 anni

"Bella selvaggia" la chiama scherzosamente Michetti che la ritrae nel 1887 come una ninfa del bosco, con un tralcio d’edera sulla sula candida. L’ha dipinta già nel 1882, orata di trine, di fiori e di coralli, con in mano un ventaglio di raso color avorio. Un ritratto non finito, giudicato troppo "frivolo" dalla famiglia e messo da parte per lasciar posto a questo più aulico. Ma entrambi, soprattutto il primo che svela come per magia la vera natura di Vinca, romantica e naturalmente gioiosa, ci riportano alla mente le parole del critico Francesco Netti:

"Il pennello di Michetti, innamorato di ciò che sta facendo nascere sulla tela, carezza come una mano le tempie, le guance, e il collo di una bella fanciulla e si posa teneramente sulla sua spalla nuda come un  bacio…". 

F.P. Michetti, Ritratto di Vinca Delfico Sorge (1882)

F.P. Michetti, Ritratto di Vinca Delfico Sorge (1882)

F.P. Michetti, Ritratto di Vinca Delfico Sorge (1887)

F.P. Michetti, Ritratto di Vinca Delfico Sorge (1887)

Il Maestro in realtà nutre una grande ammirazione e anche un profondo affetto per una donna così sensibile e colta che sa apprezzare come nessun’altra l’afflato poetico delle sue pitture e dei versi di D’Annunzio, che sa cogliere quell’ansia di nuovo che anima gli artisti del Convento.

Vinca diventa, a dispetto della sua ritrosia, la Musa ispiratrice del cenacolo michettiano.

Le sue apparizioni ai concerti estivi e alle feste di Francavilla, registrate nelle cronache mondane dell’epoca (anche in quelle dannunziane), fanno sensazione: gli uomini portano in suo onore un fiore di pervinca all’occhiello affascinati dalla sua freschezza e dalla sua raffinata eleganza.

Vinca è alta, pallida, altera e sfuggente come la misteriosa nobildonna cantata nei versi di Paradiso Perduto, la lirica dannunziana che farà poi parte della Chimera con il titolo di Gorgon.

"… Qual segreta attrazione è ne’ vostri occhi varianti come l’acqua profonda che chiuda in sé strani tesori?" le scrive d’Annunzio nel settembre 1888.

Le sue parole ricalcano maliziosamente l’incipit della lirica che appare per la prima volta sulla Domenica letteraria del 23 agosto 1885:

"Ella aveva diffuso in volto / quel pallor cupo che adoro. / Le splendea l’alma ne li occhi, / quale in chiare acque un tesoro…".

A "Madonna Vinca" gli artisti del cenacolo di Francavilla dedicano dipinti, libri, versi e note. Tutti lasciano un segno tangibile della loro presenza a casa Sorge, specie negli anni 1887-1888 in cui le loro visite si fanno più frequenti.  

Castellamare Adriatico (cartolina,1919)

Castellamare Adriatico (cartolina,1919)

Con le loro discussioni sull’arte, i loro scherzi, i loro canti e i sogni di gloria, Michetti e i suoi amici artisti rompono la monotonia della vita del piccolo paese della Val Vibrata e soprattutto rallegrano l’animo di Vinca della quale intuiscono la profonda solitudine interiore, in particolar modo d’Annunzio che non si scoraggia di fronte alla barriera di severi principi morali e religiosi dietro cui la bella padrona di casa nasconde la sua natura romantica. Come di consueto è lui, il cronista e mentore del cenacolo, a rievocare nelle sue lettere a Vinca i bei giorni di Nereto la cui "memoria sarà assai lunga e assai dolce in tutti", le serate passate ad ascoltare gli "incantesimi vocali" di Tosti, il mago di Francavilla, le passeggiate per la Via Larga, fuori di Nereto, le lunghe chiacchierate "sotto la pergola già carica di grappoli".

Ci sono tutti a godere della calda atmosfera di casa Sorge dove affluiscono in gran copia i prodotti della terra: Assieme a d’Annunzio e a Michetti sono ospiti di Nereto Vittorio Pepe, Carmelo Errico, Alfonso Muzii, Costantino Barbella che "passa le giornate intere nell’aer perso della fonderia" e Guido Boggiani, "pronto a partire per l’America dove va a cercar la fortuna e a trovar mogli belle e ricche alli amici brutti e poveri".

Tutti hanno un dono per Vinca, la bella Musa ispiratrice.

Ecco il bel ventaglio di raso nero con le note e i versi dipinti in oro di un breve stornello firmato dal Maestro Vittorio Pepe e dal poeta Carmelo Errico e ornato da una libellula e da stelline dorate:

 

Alla gentil Donna Vinca Sorge De Filippis Delfico

Ricordo di Vittorio Pepe

"Fior d’ogni fiore: quando spira Aquilon s’infosca il mare,

Quando nasce l’amor spunta il dolore".

Ed ecco, sull’altra faccia del ventaglio di raso nero, un ramo di fiori di melo dagli splendidi colori, dipinto da Alfonso Muzii.

"… Avevo portato con me il ventaglio vostro: Lo lascio all’amico Michetti: Ve lo porterà, un giorno o l’altro dipinto", scrive d’Annunzio a Vinca nel marzo ’88. In realtà voleva usare il dono come pretesto per farle una visita breve "contro ogni vostro consiglio". Evidentemente il poeta è uscito allo scoperto: la sua opera di seduzione allarma la giovane sposa di Simone che preferisce non riceverlo.

 

Ma intanto le arriva una preziosa edizione dei Sonetti Pro Anima: uno di essi, All’Ideale, è stato scritto per lei, per Madonna Vinca.      

Ventaglio dipinto nel 1888. Note di Vittorio Pepe. Parole di Carmelo Errico

Ventaglio dipinto nel 1888. Note di Vittorio Pepe. Parole di Carmelo Errico

 

ALL’IDEALE

 

Tu sei la luce limpida e tranquilla

Ove il mal ne li spiriti fuggenti

Perdesi, come ne le foglie a’ venti

Perdeasi la sentenzia di Sibilla.

 

La fontana tu sei che canta e brilla

Ne l’alba e chiama all’acqua i sizienti:

accorron essi, come l’api ardenti

a’l giglio che il più puro miel distilla.

 

Ma non poss’io veder la tua sovrana

Luce, poi che un crudele bacio ancora

Queste aggravate palpebre m’aggrava.

 

Bere io non posso a la tua pia fontana,

poi che un crudele bacio m’addolora

questa bocca che molto t’anelava.

 

Un casto bacio sulle palpebre di un uomo è il massimo che una donna "timorata di Dio" come Vinca può concedere senza provar pentimento?

Il casto bacio incoraggia comunque il poeta a fare delle avances. Vinca è una turris eburnea di cui lui è sicuro di avere la chiave. Lei è una donna intelligente, dalla forte personalità. Costretta a vivere in un piccolo paese di provincia, sogna segretamente e irrimediabilmente una vita diversa. Nonostante il suo riserbo, il desiderio di evasione si manifesta attraverso dei segnali che il vorace d’Annunzio capta sin dalla sua prima visita a Nereto. Il volto di lei spesso imbronciato, i suoi occhi sognanti, il suo entusiasmo per l’arte, la musica e soprattutto per la sua poesia di cui sa cogliere ogni sfumatura, il suo stile che le viene da una famiglia illustre e aristocratica, troppo raffinato per l’ambiente in cui vive e la straordinaria eleganza delle sue toilettes che provengono dalle grandi sartorie di Piacenza, non lasciano dubbi sui suoi sogni di evasione.

Ventaglio dipinto nel 1888 da Alfonso Muzii

Ventaglio dipinto nel 1888 da Alfonso Muzii

Dopo tanti anni di rispettosa amicizia in cui il lupo d’Annunzio si è travestito da agnello, l’8 settembre del 1888 il poeta getta infine la maschera e scrive una lettera di audacia inaudita:

"… Avete mai pensato che da quasi dieci anni, a intervalli, io giro intorno a voi, e sono attratto dal vostro fascino? Sono un uomo corrotto dalla esperienza della vita, provato dal dolore e tendo le braccia verso di voi come verso la mia chimera più desiderabile…".

A questo punto il pericolo per Vinca Sorge di fare la fine di Maria Ferres, la sfortunata eroina del Piacere che, dimentica di ogni principio morale e religioso, cede alla corte insistente del perverso Sperelli, si fa piuttosto grave.

Nella calda estate dell’88 d’Annunzio, chiuso nel Convento di Michetti, sta appunto scrivendo il suo primo romanzo ed è tutto preso dal suo personaggio, Andrea Sperelli, che per vincere le resistenze della religiosissima Maria, si mostra bisognoso di consigli, disarmato e disarmante. Vita e fiction, come sempre in d’Annunzio, sono interscambiabili.

"… Perché ha parlato? Perché ha voluto rompere l’incanto del silenzio ove l’anima mia si cullava senza quasi rimorso e senza quasi paura?...", scrive donna Maria nel suo diario dopo che Sperelli le ha confessato il suo amore. Le stesse cose deve aver pensato Vinca dopo la lettera troppo audace del poeta.

E se le parole di Maria, riportate nel romanzo, fossero un remake di quelle dette realmente da Vinca a d’Annunzio?

Comunque sia, la reazione della turris eburnea alla lettera dell’8 settembre, prende il poeta di contropiede: lei non risponde, almeno per iscritto. Si limita a inviare al "signor d’Annunzio", chiuso in convento, un cesto di pesche della sua terra. Esprime così il desiderio di continuare un’amicizia per lei preziosa, ma al tempo stesso anche quello di mantenere le distanze con quel formale "signor d’Annunzio".

"… Avrei da dirvi cose molto gravi, in materia spirituale. Cercherò di vedervi, prima di giovedì…", le risponde subito d’Annunzio dopo averla ringraziata per le pesche, riprendendo, sfrontatamente, la vecchia tattica della crisi spirituale. Il lupo torna a travestirsi da agnello.

Ma quanto può durare la resistenza della povera Vinca?

Nonostante il pericolo d’Annunzio lei accetta l’invito di Michetti di visitar Roma con gli amici abruzzesi e di andare con loro al teatro dell’Opera. Ma un improvviso malessere del suo primogenito manda all’aria all’ultimo momento il viaggio sognato.

 La "salvezza" per Vinca viene paradossalmente proprio dalla lettura del Piacere che il poeta le invia subito dopo la pubblicazione. Con dedica, naturalmente.

Vinca Delfico Sorge

Vinca Delfico Sorge

Il romanzo, che lei divora in una giornata, le apre finalmente gli occhi. Ecco svelate le tecniche di seduzione dello Sperelli:

"… Secondare le aspirazioni spirituali della donna da conquistare, far finta di accettarla come la sorella più cara, l’amica più dolce, per poi trascinarla ad una amicizia voluttuosa, e da un’amicizia voluttuosa alla totale resa del corpo…".

Vinca legge incredula quelle pagine, si riconosce nella pia e dolce Maria Ferres, rabbrividisce di fronte al suo destino.

"… Voi siete Andrea Sperelli, vi siete ricopiato in ogni minima piega dell’anima…", scrive Vinca indignata a d’Annunzio. E’ sconcertata di fronte alla scoperta dell’animo perverso di d’Annunzio/Sperelli e di fronte alla corruzione "del gran mondo" e della vita della capitale descritta nel romanzo. E’ stata ingenua a credere nella sincerità del poeta e ora – con le lacrime gli occhi? – benedice il suo piccolo paese e la semplicità della sua famiglia.

Il Piacere per lei è stato paradossalmente più salutare della Imitazione di Cristo.

 

Ma la rottura fra donna Vinca e Gabriele d’Annunzio non avverrà mai. Nonostante tutto il poeta continua a frequentare casa Sorge assieme a Michetti sino al 1894.

Che sarà mai successo? Forse il poeta incantatore ha convinto la sua bella conterranea di essersi redento con la pubblica confessione dei suoi trascorsi?

Negli anni successivi Vinca, divisa fra l’ammirazione per il grande artista e la condanna dell’uomo, continua candidamente a sperare che il diabolico poeta si ravveda. Gli scrive persino un biglietto in cui gli rimprovera il male che egli arreca con le sue opere scandalose. Ma poi il buon senso prevale e lei rinuncia a spedire il suo buon messaggio che resta lì, nella grande casa di Nereto, assieme al ventaglio, alla deliziosa gavotta che Vittorio Pepe le ha dedicato, ai giornali con le poesie e le cronache mondane di d’Annunzio e ai libri con dedica del poeta a lei "devotissimo".

Vinca Delfico e Simone Sorge

Vinca Delfico e Simone Sorge

Nata a Teramo nel 1861, Vinca Sorge Delfico visse a Nereto sino alla sua morte, avvenuta nel maggio 1911. Ebbe sette figli che divennero tutti grandi amici di Francesco Paolo Michetti, in specie Mario di cui il pittore era compare di battesimo. L’ultima figlia, Maria, laureata alla Sorbonne, visse nella grande casa di Nereto dove custodì gelosamente le lettere e i libri di d’Annunzio.

 

"… Vinca era una gentildonna perfetta e di una bellezza soave, affascinante, … maestosamente splendida e simpatica e con tutte le seduzioni dell’intellettualità vera e completa, seduzioni che con gli anni invece di scemare aumentarono". Così scrisse di lei una sua compagna di collegio dopo la sua morte prematura.

 

La figura di questa eroina da romanzo tornò alla mente di d’Annunzio quando si accinse a comporre la sua favola antica. Il nome latino del fiore "vinca pervinca" faceva pensare a una di quelle filastrocche bizzarre che si cantano ai bambini:

 

"… Su Vienda! Su, capo d’oro!

Guardatura di vinca pervinca!

Or si falcia alla campagna

Quella spiga che ti somiglia…".

                                                                                                    (Figlia di Iorio, Atto I, scena I)

Nicola D'Antino, Vinca Delfico Sorge (busto in terracotta, 1904)

Nicola D'Antino, Vinca Delfico Sorge (busto in terracotta, 1904)

Lettere di Gabriele d’Annunzio a Vinca Sorge Delfico

I

Francavilla, 25 giugno 1887

 

Madonna Vinca,

noi siamo disperati. Poiché il nostro amico Guido Boggiani deve partire domani per Roma, la gita al Gran Sasso va in fumo, miseramente.

Jeri sera, sotto la luna novella, disputammo a lungo; ed in fine rinunziammo, con molta malinconia. Intorno intorno i lunghi pini eleganti scuotevano il capo in atto di compassione.

Lunedì dunque noi non verremo a battere alla vostra porta, non verremo a chiedere ospitalità nella vostra casa che già ci accolse con tanta larghezza di cortesia; né ci sederemo alla mensa illuminata magnificamente dal vostro sorriso; né sogneremo su i placidi letti, agl’incantesimi vocali del mago di Francavilla! Il fato è duro.

Addio dunque, madonna Vinca. La gratitudine dei vostri amici è caldissima, e la memoria dei bei giorni di Nereto sarà assai lunga e assai dolce in tutti.

Questa sera pranzeremo a Francavilla, su la terrazza, in cospetto del mare; e vi manderemo un saluto rispettoso e affettuoso.

Una stretta di mano, cordialissima, da parte nostra a Don Peppe e a Simoncino.

À la très chère, à la très belle

Salut en immortalité

 

Gabriele d’Annunzio

 

Sabato

Don Peppe è il padre di Simone Sorge

II

A bordo della Lady Clara

Agosto, 30 – 1887

Mare leggermente mosso

Maestrale – Cirri a sud-ovest

 

Cara donna Vinca,

vi do mie notizie subito. Io e il mio amico Adolfo stiamo bene; e siamo neri come il catrame e voraci come sciacalli. Fin qui il mare è stato assai benigno, in grazia specialmente dei vostri augurii, e noi vi siamo grati. Non posso scrivere una lunga lettera, ma vi racconterò a voce tute le mirabili avventure navali che han reso dilettosissimo il nostro viaggio.

Non so che faremo. Ci tenta Venezia, ma il passo del Quarnaro è periglioso e non so se basterà la nostra audacia a varcarlo. Per ora stiamo in crociera fra Rimini e Ancona aspettando la squadra italiana.

Lady Clara ha una condotta eccellente, ed ha molto successo quando è coperta di tappeti e di cuscini. Jeri nel porto di Ancona, eseguì una manovra splendida, portando a poppa alcune signore eleganti. Urrà!

Voi che fate? E’ tornato Simoncino? I vostri figli stanno bene?

Salutate per me vostro marito e Don Peppe, cordialmente, e Ciccillo Michetti anche, se lo vedete. Parliamo spesso di tutti voi, nelle dolci calme di queste notti lunari.

Adolfo e io, vi baciamo le mani umilmente. Lady Clara abbassa le bandiere in segno di omaggio.

La ciurma famelica vi fa un urrà formidabile.

Addio, cara donna Vinca

 

Gabriele d’Annunzio

La lettera scritta a bordo del cutter Lady Clara di Adolfo De Bosis è ornata di segni marinareschi. Il fatto che il poeta stia tranquillamente aspettando la squadra italiana per superare il "periglioso" passo del Quarnaro, contraddice le affermazioni dei biografi di d’Annunzio che parlano di un "salvataggio in extremis" del cutter da parte della Agostino Barbarigo. Come spesso accade, il presunto incidente in mare è dunque un’invenzione dell’Imaginifico per rendere interessante la sua crociera estiva con l’amico De Bosis. Il cutter era effettivamente arredato dannunzianamente con "molti e pesanti tappeti turchi e persiani e con un tabouret, mirabile opera di tarsia, per posarvi su il caffè", come raccontano dei testimoni oculari. In quanto ai cuscini, non si può non pensare a quello su cui d’Annunzio, secondo quanto scrive a Barbara Leoni lo stesso giorno singhiozzò, disperato per l’assenza dell’amata.

III

Cara Signora,

io sono a Roma fin dai primi d’ottobre. Come mi dispiacque d’esser partito senza salutar voi e i vostri, pensavo di venire a farvi una visita rapida a Nereto nel tornare da Venezia. Ma i fatti vollero che io prendessi la via di Firenze e tornassi direttamente qui. Non ho rinunziato, del resto, alla visita. In questo inverno, alle prime nevi di Natale, verrò in terra d’Abruzzi, e allora mi avrete alla vostra mensa fiorita, e io fra un vino di rubino e uno di topazio (oh dolce cura du Don Peppe!) vi racconterò le sovrammirabili avventure della navigazione.

Giungemmo a Venezia ai primi di settembre. La mollezza della vita veneziana ci vinse, e rimanemmo assi più giorni che non avessimo stabilito. Le ultime notizie vostre le ebbi da Ciccillo Michetti che si trattenne a pena poche ore.

Ora egli è a Venezia, reduce da Milano. Il mondo avrà fra poco due grandi opere d’arte, poiché da alcuni indizii posso arguire ch’egli lavorerà intorno ai due ritratti con molto ardore. I quadri di Venezia li conoscete? Nessun artefice mai è giunto a una rappresentazione così profonda della natura e nessun artefice mai ha suscitato nel mio spirito maggiore abondanza di sogni.

E’ Qui Costantino Barbella, che lavora con una straordinaria perseveranza, e passa le giornate intere nell’aer perso della fonderia. E’ qui Guido Boggiani, pronto a partire per l’America dove va a cercar la fortuna e a trovar mogli belle e ricche alli amici brutti e poveri.

Io tra gli altri fastidii ho, in questo momento, quello di cambiar casa. Lascio la serena vista del palazzo Barberini benedetto dal sole e vado più al centro, su la via del nuovo Tritone, in un appartamento assai allegro.

Sapete che sono per la terza volta padre? Per la terza Volta! – Il bambino è molto bello ed ha un nome eroico; si chiama Venièro; Venièr d’Annunzio suona bene, non vi pare?

Quando ebbi la notizia della sua nascita, io ero a Venezia. Alcuni ufficiali di marina, amici miei, in un pranzo amichevole, fecero brindisi augurali al nuovo nato e gli predissero una grande gloria navale. Così gli fu imposto il nome del capitano che vinse alla battaglia di Lepanto, L’Italia avrà dunque un capitano di più.

E voi come state, cara Donna Vinca? Quando sarete libera dal gran peso filiale? Come passate le vostre ore nella solitudine di Nereto? La vendemmia vi rallegra?

Io vi faccio tutte queste domande oziosamente, senza speranza di aver risposta; poiché io so che la vostra pigrizia è più grande della misericordia di Dio.

Vi ricordate le chiacchierate sotto la pergola già carica di grappoli? – Meraviglioso paese quel Francavilla! Anche in questo divino ottobre romano, che è tutto d’oro come una primavera palustre, io ripenso con un po’ di malinconia alle collina sparse d’olivi, al convento, al mare armonioso, al mare buono e consolatore.

Io son tornato, dopo il mio viaggio, con una passione del mare assai più profonda e più ardente e più nostalgica.

Già faccio molti sogni per l’estate futura. Avrò un nuovo cutter che si chiamerà La Chimera. Vi piace il nome?

Il cutter sarà abbastanza grande da alloggiare comodamente quattro persone, sotto coperta, nelle cabine. Offrirò due dei posti a voi e a vostro marito; e vi porterò nel Bosforo, a Smirne, nelle isole. Passeremo le notti d’agosto sul ponte coperto di tappeti, favoleggiando come in quella sera che passeggiavamo per la Via Larga, fuori di Nereto. Vi rammentate?

Peccato che per ora La Chimera sia veramente una chimera! Ma Iddio mi aiuterà. Intanto io studio pazientemente un trattato su la manovra delle vele, tutto irto di segni algebrici e stridulo di parole barbariche. Mi preparo ai venti futuri.

Mi accorgo però di avere scritto troppo e di cose che molto probabilmente non v’interessano affatto. Perdonatemi. Mi son messo a scrivere tra una tazza di thè e l’altra, e a poco a poco mi son lasciato andare come in una conversazione piacevole.

Con voi è sempre dolce conversare.

Poiché voi non vi meravigliate che io passi le serate a casa, vi do una notizia. In questo momento sono in vena di saggezza. Vivo solitario, e studio e lavoro molto; ed ho una condotta lodevolissima.

Vi manderò i miei libri nuovi a pena saranno pubblicati; e vi manderò i giornali.

Addio, cara signora. Salutate per me cordialissimamente Simoncino e Don Peppe, e baciate i vostri bambini. Rammentatemi a Don Antonio.

Vi auguro un inverno dolce e tranquillo, con molte giornate di sole. Vi prego di rivolgervi a me, se avete commissioni per Roma. Io vi rimanderò uno di questi giorni il ventaglio, con i versi promessi. Meglio tardi che mai!

Di nuovo addio. Vi bacio le mani. Vogliatemi bene e credetemi vostro devotissimo.

Gabriele d’Annunzio

 

Il 25 ottobre ‘87

I due ritratti a cui Michetti lavorerà "con molto ardore" sono quelli, a figura intera del re Umberto I e della regina Margherita.

I quadri di Venezia sono quelli presentati dal pittore alla Esposizione Nazionale artistica di Venezia del 1887 e comprendono: Scena umana, 10 piccole scenette a olio e il Ritratto della signora Maria de Bernardkay.

Nell’ottobre del 1887 d’Annunzio andò a abitare con la famiglia a Palazzo Martinori, in via del Trittone.

Veniero, nato dopo Mario e Gabriellino, deve il suo nome all’ammiraglio veneziano Sebastiano Venier. Divenne ingegnere meccanico e pilota; durante la prima guerra mondiale, lavorò nelle Officine Caproni e mise a punto gli aerei su cui volava il padre. Fu in seguito rappresentante della Isotta-Fraschini a New York. Nel 1927 prese la cittadinanza americana.

Il cutter La Chimera rimase davvero un sogno impossibile per il poeta impegnato nella sua attività quotidiana di cronista mondano della Tribuna dal 1884 al 1888, anno in cui decise di lasciare il giornale per dedicarsi esclusivamente alla composizione del suo primo romanzo, Il Piacere.

D’Annunzio mantenne la promessa di mandare a Vinca le rime edizioni dei libri che andava componendo. L’Isaotta Guttadauro, Il Piacere, Giovanni Episcopo e Il Trionfo della Morte portano tutti la dedica autografa del poeta alla sua "chimera" e ora fanno parte del Fondo Sorge Delfico della Biblioteca di via Senato a Milano.

Non è rimasta invece traccia del ventaglio con i versi promessi.

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (25 ottobre 1887) pag.1

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (25 ottobre 1887), pag. 1

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (25 ottobre 1887) pag.2

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (25 ottobre 1887), pag. 2

IV

 

Pescara, 9 marzo 1888

 

Cara Donna Vinca,

sono in terra d’Abruzzi e mando un saluto cordiale a voi, a vostro marito, a Don Peppe, a tutti i bambini.

Domani con Michetti e con Barbella, andrò a Teramo, a una festa di non so chi.

Spero di vedervi là. E spero anche di poter venire a Nereto, a farvi una visita breve, se bene io abbia le ore contate.

Ho un gran desiderio di rivedervi.

Tante cose affettuose a tutti i vostri.

Vi bacio le mani.

Gabriele d’Annunzio

 

Venerdì

D’Annunzio è in questo periodo a Pescara per cercare di sistemare i dissesti finanziari del padre che, con la sua vita dissoluta e le donne che manteneva alla "Villa del Fuoco", stava portando la famiglia alla rovina, tanto che i figli progettarono di farlo interdire.

V

Cara Donna Vinca,

sarei venuto contro ogni vostro consiglio, a farvi una visita breve, ma qui ho prese le fabbri miasmatiche e una nevralgia alla parte sinistra della faccia.

Parto domani per Roma, fuggendo l’aria natale che questa volta m’è stata maligna.

Avevo portato con me il ventaglio vostro, Lo lascio all’amico Michetti, Ve lo porterà, un giorno o l’altro, dipinto.

Io tornerò forse in maggio, o prima. Allora spero di rivedervi e di e di riveder guarito, florido e sano, Don Peppe.

Salutatelo affettuosamente e fategli inoltre buoni augurii.

 

Tante cose cordiali a vostro marito. Vogliatemi bene, cara Donna Vinca, e datemi occasione di mostrarvi la mia devozione sincera.

Rimanderò i miei libri nuovi, a pena editi.

Riceveste Pro anima?

Gabriele d’Annunzio

 

19 marzo (1888)

Pro Anima è la preziosa edizione numerata, stampata nel 1888 in soli dieci esemplari, dei Sonetti dell’Anima: che saranno poi inclusi nella Chimera. La domanda è sottolineata da d’Annunzio che ne dedica uno a Vinca.

VI

8 settembre 1888

 

Triste cosa è pensare che tutte le più nobili idealità dello spirito debbano essere disperse e profanate dal contatto della vita comune.

Avete mai pensato che da quasi dieci anni a intervalli, io giro intorno a voi e sono attratto dal vostro fascino?

Ero un fanciullo e camminavo lungo la riva del mare alla ventura, con la vaga speranza d’incontrarvi.

Sono un uomo corrotto dalla esperienza della vita, provato dal dolore, e tendo le braccia verso di voi come verso la mia chimera più desiderabile.

Che avete voi? Qual segreta attrazione è ne’ vostri occhi varianti come un’acqua profonda che chiuda in sé strani tesori?

 

Gabriele d’Annunzio

Della lettera ci è rimasta la copia scritta da Vinca che aggiunse. "Distrussi l’autografo il 1° gennaio 1890". Evidentemente strappò la lettera sotto l’impressione negativa ricevuta dalla lettura del Piacere. Ma queste frasi le aveva mandate a memoria e, passato lo sdegno, le ricopiò due volte su due foglietti custoditi nella casa di Nereto assieme alle altre lettere.

VII

Martedì 18 [settembre]

Francavilla al mare (Abruzzi)

 

Cara Donna Vinca,

vi son molto grato delle pèsche. Sono veramente magnifiche di colore, di sapore e di odore; sembrano colte dalle vostre mani pure, in un orto favoloso, nell’orto delle Esperidi o in quello del mio biondo re Astìoco. Già le più belle hanno esperimentato l’acutezza de’ miei denti.

Mi dispiace che voi partiate così presto. Avrei da dirvi cose molto gravi, in materia spirituale. Cercherò di vedervi, prima di giovedì; ma non son certo di riuscire.

Quanto prima vi manderò il sonetto, in compenso dei frutti. Lo comporrò per voi, con ogni regola d’arte. Sarà armonioso come una musica di Dominazioni e fulgido come una fiamma sacra.

Voi mi parlate di bontà infantili. Siete ingenua. Io sono ora come dieci anni a dietro; credetemi.

Addio, cara Donna Vinca. Salutate per noi cordialmente Simoncino.

Rammentatemi a vostra madre, che mi pare una donna d’alti spiriti, e a Donna Albina e a Donna Diomira e a Don Filippo.

Vi bacio le mani, devotamente

 

Il Signor d’Annunzio

Con il "biondo re Astìoco" d’Annunzio si riferisce alla ballata di Madonna Isaotta inclusa nella raccolta L’Isaotta-La Chimera.

Donna Albina e Donna Diomira erano le sorelle maggiori di Vinca.

Don Filippo De Filippis Delfico era il padre di Vinca, e abitava a Palazzo Delfico a Teramo, oggi sede di una splendida biblioteca intitolata al filosofo illuminista Melchiorre Delfico.

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (18 settembre 1888) pag.1

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (18 settembre 1888), pag. 1

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (18 settembre 1888) pag.2

Lettera di Gabriele D'Annunzio a Vinca (18 settembre 1888), pag. 2

Lettera di Vinca Sorge Delfico a Gabriele d’Annunzio

I

Nereto, 21 maggio ‘89

 

Vi ringrazio tanto del libro che mi mandaste. L’ho letto con avidità, ed è stato per me un gusto finissimo legger il vostro romanzo, anzi troppo intenso.

Ho dovuto riposarmi tutto un giorno, il sabato non lessi, anche per un’antica consuetudine. Avrei voluto che mi si fosse imposto di leggerlo a spizzico, come in un’appendice di giornale, avrei voluto come un compito tutti i giorni, tanto e non più; invece gli occhi scorrevano senza freno, e le pagine passavano una dopo l’altra rapidamente.

Ma perché scrivete voi di questi libri?... Un giorno dovrete renderne conto a Dio; io ve lo dico. E come farete allora?

Nel vostro romanzo vi sono molte cose vere, perfettamente vere, analisi sottili, meravigliose, immagini stupende, erudizione profonda, e per la forma è un gioiello purissimo che brillerà ne’ secoli.

Ma, debbo ripetere, perché la vostra penna, che potrebbe sollevarsi altissima, la degradate così, costretta incessantemente nella miseria più triste?

Tentate invano con ogni sforzo di coprirla con un manto fulgido! Tale contrasto abbatte l’anima e la conturba profondamente.

Voi siete Andrea Sperelli, vi siete ricopiato in ogni minima piega dell’animo, altrimenti con la sola immaginazione come avreste potuto concepire un tale personaggio? Il vostro eroe sarebbe stato inverosimile! – Io non so capire come siete voi, chi vi ha traviato così… Come potete scrivere perennemente in un’atmosfera corrotta…Io non so capire…

Ma avrò tutta l’aria di farvi un predicozzo e forse vi secco.

In quanto a me, la mia impressione, l’effetto risentito leggendo Il Piacere è stato lo stesso che meditando una delle più severe meditazioni del Hempis.

Lo spettro del gran mondo, la vita della capitale, mi hanno fatto paura e quasi istintivamente rifugiandomi nella mia solitudine, ho benedetto il mio piccolo paese e la semplicità della mia famiglia.

Ed un fiero pentimento per tutte le insofferenze, le ribellioni, ed i lamenti passati prenderà posto in me riconoscendo sulla nostra via la Mano divina, sempre provvida e amorosa.

Voi vi congratulerete forse con me del salutare frutto, ed io ve ne ringrazio anticipatamente.

Il testo di questa lettera è ripreso dalla brutta copia miracolosamente ritrovata fra le carte della casa di Nereto. Con "le severe meditazioni di Hempis", Vinca allude alla Imitazione di Cristo, vero e proprio best seller dell’epoca.