Alberto Fortis a Melchiorre Delfico, 21 dicembre 1781

De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

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Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

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Epistolario

Alberto Fortis a Melchiorre Delfico (1)

Lettera datata Padova, 21 dicembre 1781

Ubicazione del manoscritto: Archivio di Stato di Teramo, Fondo Delfico, b. 19, f. 234/a, n. 2

A cura di Luciana D'Annunzio

Trascrizione

Padova 21 dicembre 1781

 

O Melchiorre, Melchiorre mio dolcissimo ch’è mai di te? Io t’ho scritto in  momenti di desolazione; io aveva diritto d’aspettarmi una buona dose di balsamo dall’amicizia tua, poiché niuno è tanto al caso di spargere qualche consolazione nel mio cuore, quanto lo sei tu. E tu m’hai abbandonato del tutto! Non essendo combinabile questo abbandono dell’animo tuo alla più amara opposizione di cuore colla delicatezza di codest’anima, io mi trovo afflitto dal sospetto che la salute tua sia sconcertata ed ecco un nuovo accesso d’inquietudine, d’afflizione. Deh chiariscimi di questo; e se non ti trovi in istato di scrivere, fa che ti presti la mano uno dei tuoi fratelli, che, se mi amano, come tu me n’ài assicurato, per compenso devono cercare di togliermi questa spina dal cuore. O! amico, e fratello mio! Il mio cuore non avrebbe forza bastevole a resistere a nuovi mali. Egli è profondamente lacerato da quelli che l’infelicità di una virtuosa Donna, d’un anima incomparabile gli fa provare .Io ò deposto nel seno dell’amicizia tua tutti i segreti di questo cuore; io ò cercato a essa sola una consolazione allorché il più crudele contrattempo mi à reso fonte di amarezza, di afflizione, d’oppressione a quell’anima eccellente per cui io avrei dato la vita che m’era peso inutile lontano da lei e che mi è ora detestabile perché tormentata dal rimorso e avvelenata dalla certezza quasi assoluta d’una privazione irrimediabile. Sono già compiuti i tre mesi dacchè io non ho nuove di essa…e l’ultima lettera mi annunziavano sciagure orribili. La servitù del costume che colà regna, la barbarie gotica d’un marito geloso…oh tu mi leggi nel cuore!

Io temo di qualunque atrocità; e se mai questo funesto presentimento si verificasse…O! amico mio, come potresti tu consigliarmi a vivere! Non mi sarebbe mai sorto più opportuno il soggiorno di Napoli, o la gita per la Puglia che in queste circostanze. Io avrei a qualunque costo togliermi questo crudel peso dell’anima. Ora io credo svanita anche ogni speranza Napoletana. L’affare di Rizzi Zannoni à preso la più felice piega, e la Carta si farà con la massima magnificenza. Pareva che da questo potesse dipendere qualche bene per me; e gran bene(?) per certo sarebbe stato quello di riabbracciare gli amici, e del vivere qualche più tempo con essi. Ma l’esito mi ha disingannato. Lo zelo del Grimaldi non è fortunato in ragione dell’ingenuità, e forse quest’ultima virtù del nostro amico è quella che nuoce alla Carta.

Ora tu scrivimi, e diriggi (sic) le lettere tue a Vicenza, sino a che non ti do altro ricapito. Io odio le Città e vivo al bosco quanto più mi è possibile, ma ho bisogno di balsamo d’amicizia per non morire d’aridità! E del tuo nipotino che se ne fa? Addio caro e soave Melchiorre. Io non ti dirò mai abbastanza che t’amo, e ti desidero con tutta l’anima.

F[ortis]

 

P.S. Dopo scritta questa, o mio caro Melchiorre, o fratello, o amico mio dolce, io ò ricevuto otto fogli in un piego solo della mia preziosa donna, pieni di tenerezza, pieni di nuove consolanti. Ella à fatto prodigi di destrezza, di talento; noi potremo rivederci assai più presto di quello che ci pensavamo il contrattempo accaduto è immerso in profondo silenzio. Tutti gli amici a coro m’invitano a rivedere quel caro paese…O! adesso sì che mi farebbe bisogno si concludesse a Napoli qualche cosa. Felice se potessi avere modo di vivere ad un tratto per la fama, per l’amicizia, per l’amore! Io non ho voluto tardare a darti così lieta novella. Addio!

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(1)Alberto Fortis, giornalista e naturalista, nacque a Padova l’11 novembre 1741 e morì a Bologna il 21 ottobre 1803. Vestì l’abito agostiniano mutando il suo nome di battesimo (Giovan Battista) in quello di Alberto. Ma, mal gli si addiceva la vita monastica, sì che presto ottenne di essere sciolto dai suoi voti e rimase semplice abate. Collaborò a "L’Europa Letteraria" redatta da Domenico Caminer e da Enrichetta sua figlia, considerata una delle giornaliste più famose del XVIII secolo, che amò riamato.

Viaggiò molto per fini scientifici in un’epoca in cui la geologia stava appena delineandosi come disciplina autonoma, ponendosi la questione dell'origine delle rocce e partecipando alle prime dispute scientifiche su questo argomento. Trattò della cronologia delle formazioni geologiche e del significato da dare ai fossili. Studiò i fenomeni di vulcanesimo nel veronese, le torbe dei colli Euganei e le rocce del triestino, dell'Istria e della Dalmazia. Nell'Italia meridionale fu tra i primi ad occuparsi delle formazioni rocciose della Puglia e della Calabria.

Sospettato poi dalle autorità veneziane di giacobinismo, specialmente a causa dei contatti che negli anni precedenti aveva stretto con intellettuali e scienziati francesi, nel 1797, fu costretto ad abbandonare l’Italia per rifugiarsi a Parigi. dove svolse un’intensa attività scientifica.

Rientrò in Italia nel 1800 chiudendo la sua attività come bibliotecario a Bologna e segretario dell’Istituto Italiano. Tra le sue opere si ricordano Saggio di osservazione sopra l'isola di Cherso e Osero (1771), Viaggio in Dalmazia (1774), Viaggio mineralogico in Calabria e in Puglia (1784-86).

Fin dal 1780 il Fortis fu legato da profonda amicizia a Melchiorre Delfico, testimoniata dal ricco epistolario compreso nel "Fondo Delfico" che si conserva presso l'Archivio di Stato di Teramo e da quello custodito presso l’Archivio di Stato e la Biblioteca di San Marino, pubblicato in parte, da Francesco Balsimelli in Epistolario di Melchiorre Delfico. Lettere sammarinesi, Repubblica di San Marino, Arti Grafiche della Balda, 1934.