De Filippis

 

De Filippis-Delfico

 

(Teramo, 1820)

biblioteca - archivio virtuale

Stemma famiglia De Filippis-Delfico, Teramo, 1820

family web site

Delfico

(Napoli, sec. XVIII)

(Teramo, sec. XV)

Stemma famiglia De Filippis, Napoli, sec.XVIII

Stemma famiglia Delfico, Teramo, sec.XV

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Testimonianza d’arte dei giovani De Filippis Delfico

di Marisa Profeta De Giorgio

In "La Tenda", in Prospettiva Persona, anno  XXXIV, n. 9/2007

 

Quando nel 1820 Gregorio De Filippis Delfico, conte di Longano, sposa Marina, unica erede del nome e dei beni della sua famiglia, riceve il poetico cognome Delfico, perché non ne vada perduta la memoria. Gregorio eredita anche l’oneroso fardello di una stirpe, il cui agire e sentire erano stati coronati da ruoli indimenticati nel tempo: chierici, sindaci, giuristi, letterati, filosofi. La propria dimora era stata sempre il "milieu" dell’intelligentia aprutina.

Gregorio da parte sua aggiunge il titolo di conte al marchesato di cui si fregiava dal 1794 la famiglia Delfico e ne conferma la curiosità, l’impegno civile e intellettuale. Uomo brillante, legato a Marina da "affinità elettive" e ai suoi antenati da un sentimento fieramente antiborbonico, viaggiatore sperto, coltiva l’inclinazione a proporsi come innovatore in campo agricolo-economico; intrattiene interessanti rapporti epistolari con il Gabinetto scientifico e letterario Viesseux e con l’Accademia dei Georgofili a Firenze e, non ultimi, con N. Tommaseo e con G. Leopardi; accoglie con interesse le sollecitazioni culturali che gli vengono dalla città adottiva, apre la sua dimora all’arte. Complice la Scuola di disegno, fondata nel 1811 e diretta dapprima da Muzio Muzii e poi da Pasquale Della Monica, significativo segno di un progetto di rinnovamento artistico, dopo secoli di una lunga e improduttiva stasi, Gregorio affida a pasquale Della Monica l’educazione artistica dei suoi rampolli, così come risulta dai libri paga in cui puntigliosamente vengono registrati gli onorari soddisfatti al pittore. Nello stesso tempo ingaggia G. Stroppolatini per eseguire dei lavori d’arte.

I giovani Delfico si esercitano diligentemente e del loro impegno sono fedele testimonianza i numerosi disegni custoditi nella Biblioteca Delfico. Sulla parte tergale dei fogli ciascuno sigla le iniziali del proprio nome: T (Troiano), B. (Bernardino), F. (Filippo), A. (Aurora), M. (Melchiorre).

È Melchiorre il primo ad uscire dal privato, partecipando ad una esposizione nella sala comunale di Teramo nel maggio del 1839. Ha appena diciassette anni e ambiziosamente vi presenta un’Accademia ed un corso di anatomia. Sicuro dei suoi mezzi espressivi, tra la fine del 1843 e gli inizi del 1844, ritrae la sua famiglia, manifestando doti di penetrazione psicologica nei singoli soggettiTroiano impegnato in campo politico, esule a Corfù, vive vendendo cacciagione e dipinti. Nell’isola greca scopre una natura e un modello di vita fatto di piccole cose, la poesia del mondo secolare. Coincidente con la sua vicenda esistenziale e, perciò, probabilmente di sua mano, è una "Marina" di Corfù utilizzata come sovrapporta ed esposta a tutt’oggi nella Biblioteca provinciale. In essa volge il suo linguaggio figurato ad effetti di spontaneità, aderendo ad un "vedutismo" che fissa minuziosamente i gesti lenti e stanchi dei pescatori, le vele afflosciate, la distesa marina pacificata nell’ora del tramonto. Giocando sapientemente con i guizzi della luce, che trascorre sulla distesa marina riesce a far scaturire in chi guarda un senso di indicibile malinconia che nasce dalla consapevolezza del passare del tempo.

Più convintamente impegnato - firma le sua opere – Bernardino ha incarichi per lo più chiesastici. Nel cappellone laterale della chiesa di S. Agostino, nei pennacchi degli archi, affresca i quattro evangelisti. Nel San Marco sulla spalliera si leggono la data 1853 e la paternità dell’opera; in San Matteo, nel pennacchio, in corsivo è bene in vista la scritta "Bernardino De Filippis Delfico dipinse". Costretti tra i pennacchi degli archi, i personaggi biblici con i loro simboli nella realizzazione stilistica evocano la maniera di un grande classico, Michelangelo. Come i personaggi della "Sistina", ad esempio, i quattro soggetti si accampano con energia in uno spazio angusto che li costringe a disporsi sul limitare della superficie disponibile con una lieve rotazione, che conferisce loro un forte senso di tensione. Ormai noto, negli anni tra il 1862 e il 1863 viene chiamato a decorare le lunette sulle pareti in alto della chiesa della SS: Addolorata a Mosciano S. Angelo, iniziata su disegno dell’architetto Federico Dottorelli nel 1827 e definita nel 1862 da Giuseppe Lupi. Bernardino sceglie quattro episodi della vita di Gesù Cristo: la Presentazione al tempio, la Fuga in Egitto, la Crocifissione, la Resurrezione. Nel corso dell’esecuzione delle opere l’autore passa da un eclettico virtuosismo nell’addizione di vasi spaziali diversamente prospettici e da volumi poco articolati ad una chiarezza narrativa di tono carraccesco fino ad arrivare ad una rarefazione della matericità, che lascia il posto ad una luminosità talmente intensa da suscitare nello spettatore la percezione di assistere ad un evento intriso del senso del divino. In definitiva i rampolli di casa Delfico, pur non qualificandosi come "artisti" di assoluta originalità e creatività, in un ambiente artisticamente dominato dall’Accademia, dimostrano, per quel che della loro fisionomia artistica conosciamo, autonomia di scelte stilistiche.

"La Tenda", anno XXXIV, n.9/2007

"La Tenda", anno  XXXIV, n. 9/2007

"La Tenda", anno XXXIV, n.9/2007

"La Tenda", anno  XXXIV, n. 9/2007