Quando nel 1820 Gregorio De Filippis Delfico, conte di Longano,
sposa Marina, unica erede del nome e dei beni della sua
famiglia, riceve il poetico cognome Delfico, perché non ne vada
perduta la memoria. Gregorio eredita anche l’oneroso fardello di
una stirpe, il cui agire e sentire erano stati coronati da ruoli
indimenticati nel tempo: chierici, sindaci, giuristi, letterati,
filosofi. La propria dimora era stata sempre il "milieu"
dell’intelligentia aprutina.
Gregorio da parte sua aggiunge il titolo di conte al marchesato
di cui si fregiava dal 1794 la famiglia Delfico e ne conferma la
curiosità, l’impegno civile e intellettuale. Uomo brillante,
legato a Marina da "affinità elettive" e ai suoi antenati da un
sentimento fieramente antiborbonico, viaggiatore sperto, coltiva
l’inclinazione a proporsi come innovatore in campo
agricolo-economico; intrattiene interessanti rapporti epistolari
con il Gabinetto scientifico e letterario Viesseux e con
l’Accademia dei Georgofili a Firenze e, non ultimi, con N.
Tommaseo e con G. Leopardi; accoglie con interesse le
sollecitazioni culturali che gli vengono dalla città adottiva,
apre la sua dimora all’arte. Complice la Scuola di disegno,
fondata nel 1811 e diretta dapprima da Muzio Muzii e poi da
Pasquale Della Monica, significativo segno di un progetto di
rinnovamento artistico, dopo secoli di una lunga e improduttiva
stasi, Gregorio affida a pasquale Della Monica l’educazione
artistica dei suoi rampolli, così come risulta dai libri paga in
cui puntigliosamente vengono registrati gli onorari soddisfatti
al pittore. Nello stesso tempo ingaggia G. Stroppolatini per
eseguire dei lavori d’arte.
I giovani Delfico si esercitano diligentemente e del loro
impegno sono fedele testimonianza i numerosi disegni custoditi
nella Biblioteca Delfico. Sulla parte tergale dei fogli ciascuno
sigla le iniziali del proprio nome: T (Troiano), B.
(Bernardino), F. (Filippo), A. (Aurora), M. (Melchiorre).
È Melchiorre il primo ad uscire dal privato, partecipando ad una
esposizione nella sala comunale di Teramo nel maggio del 1839.
Ha appena diciassette anni e ambiziosamente vi presenta
un’Accademia ed un corso di anatomia. Sicuro dei suoi mezzi
espressivi, tra la fine del 1843 e gli inizi del 1844, ritrae la
sua famiglia, manifestando doti di penetrazione psicologica nei
singoli soggettiTroiano impegnato in campo politico, esule a
Corfù, vive vendendo cacciagione e dipinti. Nell’isola greca
scopre una natura e un modello di vita fatto di piccole cose, la
poesia del mondo secolare. Coincidente con la sua vicenda
esistenziale e, perciò, probabilmente di sua mano, è una
"Marina" di Corfù utilizzata come sovrapporta ed esposta a
tutt’oggi nella Biblioteca provinciale. In essa volge il suo
linguaggio figurato ad effetti di spontaneità, aderendo ad un
"vedutismo" che fissa minuziosamente i gesti lenti e stanchi dei
pescatori, le vele afflosciate, la distesa marina pacificata
nell’ora del tramonto. Giocando sapientemente con i guizzi della
luce, che trascorre sulla distesa marina riesce a far scaturire
in chi guarda un senso di indicibile malinconia che nasce dalla
consapevolezza del passare del tempo.
Più convintamente impegnato - firma le sua opere – Bernardino ha
incarichi per lo più chiesastici. Nel cappellone laterale della
chiesa di S. Agostino, nei pennacchi degli archi, affresca i
quattro evangelisti. Nel San Marco sulla spalliera si leggono la
data 1853 e la paternità dell’opera; in San Matteo, nel
pennacchio, in corsivo è bene in vista la scritta "Bernardino De
Filippis Delfico dipinse". Costretti tra i pennacchi degli
archi, i personaggi biblici con i loro simboli nella
realizzazione stilistica evocano la maniera di un grande
classico, Michelangelo. Come i personaggi della "Sistina", ad
esempio, i quattro soggetti si accampano con energia in uno
spazio angusto che li costringe a disporsi sul limitare della
superficie disponibile con una lieve rotazione, che conferisce
loro un forte senso di tensione. Ormai noto, negli anni tra il
1862 e il 1863 viene chiamato a decorare le lunette sulle pareti
in alto della chiesa della SS: Addolorata a Mosciano S. Angelo,
iniziata su disegno dell’architetto Federico Dottorelli nel 1827
e definita nel 1862 da Giuseppe Lupi. Bernardino sceglie quattro
episodi della vita di Gesù Cristo: la Presentazione al tempio,
la Fuga in Egitto, la Crocifissione, la Resurrezione. Nel corso
dell’esecuzione delle opere l’autore passa da un eclettico
virtuosismo nell’addizione di vasi spaziali diversamente
prospettici e da volumi poco articolati ad una chiarezza
narrativa di tono carraccesco fino ad arrivare ad una
rarefazione della matericità, che lascia il posto ad una
luminosità talmente intensa da suscitare nello spettatore la
percezione di assistere ad un evento intriso del senso del
divino. In definitiva i rampolli di casa Delfico, pur non
qualificandosi come "artisti" di assoluta originalità e
creatività, in un ambiente artisticamente dominato
dall’Accademia, dimostrano, per quel che della loro fisionomia
artistica conosciamo, autonomia di scelte stilistiche. |