Il 16 dicembre
1940 il Podestà di Teramo, il magg. Umberto Adamoli (1), in
qualità di presidente dell’Ente Comunale Opera Assistenziale,
consegnò alla sezione dell’Archivio di Stato di Teramo, con atto
rogato dal notaio Di Carlo nel 1939, i manoscritti esistenti nel
palazzo della famiglia Delfico(2). Il Comune di Teramo era
proprietario non solo dei predetti manoscritti, ma anche del
palazzo e della biblioteca, che gli erano stati donati dagli
eredi Marino e Luciano De Filippis Delfico, fratelli, e da
Fausto De Filippis Delfico, cugino(3), per la parte di sua
proprietà (equivalente ad 11 vani e ad una porzione della
biblioteca). I manoscritti donati consistevano in documenti di
carattere generale, raccolti in 43 pacchi o buste, e in
documenti di carattere privato, raccolti in 30 fasci. Il fondo
si arricchì di 255 pergamene, che vanno dal 1200 al 1800, dallo
Scarselli individuate dopo una più accurata ricognizione delle
carte, come comunicò il Ministero dell’Interno il 28 aprile
1941. L’inventario del materiale era stato compilato dal
Coadiutore capo dell’Archivio di Stato di Teramo, Alberto
Scarselli, che operava alle dipendenze del Conservatore, che
aveva compiti di direzione e pertanto, denominato anche (seppure
impropriamente) "Direttore"(4). La donazione delle carte della
biblioteca e del palazzo da parte degli eredi fu un gesto di
generosità e di "vera nobiltà", come la considerò l’articolista
del Solco (12 agosto 1939), che, tra l’altro,
rispecchiava la volontà di Troiano, che sul finire dell’800
aveva espresso l’intenzione di cedere manoscritti e libri ad un
istituto culturale della città, ma non fu così spontaneo come il
richiamato articolista riteneva. Infatti la decisione di cedere
il palazzo, la biblioteca e i giardini annessi al Comune fu
presa per chiudere una lunga causa civile che gli eredi avevano
acceso contro di esso per un cavalcavia contestato per
irregolarità e incompatibilità con le vigenti disposizioni
urbanistiche. Marino e Luciano reputarono conveniente, per la
tutela dei loro interessi, addivenire ad una transazione con il
Comune, al quale cedettero l’immobile e quanto ivi contenuto (ad
eccezione di alcuni mobili, che furono fatti sgomberare da
Bianca Casamarte, vedova di Troiano) al prezzo di circa 500.000
lire a compensazione delle spese dovute per la predetta causa.
Fausto per la parte di sua proprietà pretese, a tacitazione dei
suoi diritti, un assegno vitalizio che il Comune gli avrebbe
dovuto corrispondere in unica soluzione annuale. Sulle ragioni
che indussero il Comune a donare i manoscritti alla locale
sezione dell’Archivio di Stato e non alla Biblioteca
provinciale, ha fornito esaurienti motivazioni A. Marino, che ha
riportato una lettera del Ministero dell’Interno del 3 luglio
1939, in cui si dichiarava quanto segue al Conservatore della
sezione dell’Archivio di Stato di Teramo e alla Soprintendenza
del R. Archivio di Stato di Napoli: "Tali manoscritti, che sono
di evidente grande importanza, è quanto mai opportuno che siano
depositati presso il locale Archivio di Stato, che ne è la sede
naturale (…) i manoscritti donati alla città di Teramo dalla
famiglia Delfico costituiscono un patrimonio culturale di somma
importanza, del quale sarà di particolare convenienza assicurare
la esistenza in un Archivio statale, dipendente dal potere
centrale"(5). Mentre fervevano le trattative per
l’acquisizione dei manoscritti teramani, restavano in campo
quelli che Marino e Luciano detenevano nella loro abitazione di
Montesilvano, che, a detta del Solco (13 luglio 1940)
erano ancor più importanti. Anche per questi le competenti
autorità avevano auspicato e caldeggiato il loro versamento
nell’Archivio di Stato di Teramo. Fu determinante
l’interessamento dello Scarselli, che godeva della fiducia e
della stima di Marino e Luciano, i quali stabilirono di donare
tutte le carte all’Archivio teramano, trattenendo solo quelle
relative alla Repubblica di S. Marino, alla quale da loro erano
state promesse da tempo. L’inventario dei manoscritti era stato
compilato dallo Scarselli, che, animato dalla solita congenita
solerzia e spinto dall’amore per la cultura teramana (come fu
evidenziato nel vol. Alberto Scarselli scrittore e
giornalista, tip. Ars et Labor, Teramo 1958), si era recato
per ben tre volte a Montesilvano tra l’estate e l’autunno del
1940 per sistemare le carte. Il materiale fu consegnato allo
Scarselli il 24/X/1940 nel palazzo di Montesilvano, dove Marino
e Luciano, in nome e per conto anche della sorella Bianca
Delfico, vedova Casamarte, sottoscrissero il relativo verbale.
Avvenuto il deposito, il Ministro dell’Interno con lettera del
22 gennaio 1941 comunicava allo Scarselli, che in questo periodo
era Coadiutore facente funzione di Reggente, di aver apprezzato
la donazione dei fratelli De Filippis-Delfico, pregando la
Prefettura, che leggeva la lettera per conoscenza, di "rendersi
interprete presso i donatori del superiore compiacimento". Con
le carte di Montesilvano si concluse la formazione del "fondo
Delfico" nell’Archivio di Stato di Teramo, comprese le
pergamene, (una parte del predetto fondo era stata depositata
presso la Biblioteca Provinciale "M. Delfico" di Teramo). La
raccolta é così costituita: 43 pacchi e 30 fasci relativi alle
carte di Teramo; 75 pacchi relativi alle carte di Montesilvano;
27 buste contenenti carte varie (miscellanea). Le pergamene, che
originariamente erano 255, sono oggi 252, essendo tre mancanti
per ragioni ignote(6). Le carte furono custodite nell’Archivio
di Stato di Teramo, per due anni e otto mesi circa, perché dal
14 dicembre 1942 furono trasferite nel ritiro dei Passionisti di
S. Gabriele dell’Addolorata. Disponiamo del solo verbale di
consegna del materiale al rettore del ritiro, il P. Romualdo di
S. Gabriele (Antonio Dorati, 1880-1955)(7) da parte del
Direttore della Sezione dell’Archivio di Stato di Teramo,
redatto il giorno 14 stesso. Il motivo del trasferimento fu il
timore di bombardamenti aerei, che avrebbero potuto distruggere
il prezioso patrimonio(8). Gli esiti della guerra, infatti, che
iniziarono ad essere negativi per l’Italia nella seconda metà
del 1942, indussero il Conservatore ad adottare le dovute misure
di prevenzione. La sua scelta cadde sul ritiro dei Passionisti,
perché il Ministero dell’Interno riteneva che un luogo sacro,
come il Santuario di S. Gabriele, non sarebbe mai stato oggetto
di incursioni aeree. Inoltre il Conservatore dell’Archivio
riteneva, da devoto, che S. Gabriele avrebbe assicurato al
"fondo Delfico" la sua speciale protezione, così scrivendo in
una memoria vergata col lapis: "Si avrà la certezza che nel
ritiro dei buoni Passionisti i documenti staranno al sicuro,
come mi ha assicurato il P.R. Dorati, e per di più staranno
sotto la protezione di S. Gabriele dell’Addolorata, a cui li
affidiamo, essendo egli capace anche di siffatti miracoli"(9).
Il Rettore, dopo aver conferito con lo Scarselli, che conosceva
personalmente, sentì prima il Capitolo locale, che diede il suo
assenso, e poi chiese il permesso al Preposito provinciale, il
P. Norberto di S. Maria (Donato Pantanella, 1900-1983)(10), che
il 9 dicembre 1942, dopo gli accordi intercorsi con il Direttore
dell’Archivio di Stato di Teramo, accolse il materiale in una
stanza del piano terra, appositamente preparato come deposito
archivistico. Vi furono sistemati 402 pacchi e fascicoli vari
del "fondo Delfico". Il verbale così specifica: "La Direzione
della sezione del R. Archivio di Stato di Teramo (...) ha
consegnato oggi al detto Convento, e per esso al P. Romualdo,
rettore, due casse contenenti n. 402 pacchi e fascicoli di
documenti di pregevole interesse storico, provenienti dal
deposito dei Sig.ri Delfico, e precisamente manoscritti e
pergamene della predetta famiglia Delfico"(11). Si
stabiliva che i documenti dovevano essere riconsegnati in
qualsiasi momento a richiesta dell’Archivio di Stato. Le chiavi
del locale furono consegnate al Direttore dell’Archivio, che vi
poteva accedere all’occorrenza. La vicenda induce alla seguente
riflessione. Il ritiro di S. Gabriele nel cedere ad uso
dell’Archivio un suo locale si privò di spazi, peraltro senza
utile economico, diventando di fatto un magazzino o, se si vuole
usare un eufemismo, la dipendenza di un ufficio statale. Una
tale concessione appare, a dir poco, singolare e, dal nostro
punto di vista, inaccettabile, sol se si riflette sull’enorme
sgarbo che il governo fascista aveva inferto, poco più di un
anno prima, il 22 giugno 1941, ai Passionisti, sopprimendo d’un
colpo l’Eco di S. Gabriele, perché il P.Giacinto Maria di
Gesù (Nicola Ercoli, 1911-1966), il redattore, aveva pubblicato
un normalissimo articolo, a carattere religioso, dal titolo "Il
Missionario", che ai gerarchi era suonato come antinazionale,
finalizzato ad ingenerare uno spirito contrario alla guerra(12).
Un atto così grave, che vulnerò la comunità passionista, avrebbe
dovuto indurre il rettore a rifiutare la richiesta del locale da
parte del Ministero, tanto più che sia il rettore, che si era
rivolto al Prefetto di Teramo in data 17 settembre 1941, sia il
P. Giacinto, che arrivò perfino nel gabinetto di Mussolini nel
luglio del 1941, si ebbero dal governo indifferenza e rigida
intransigenza, dettata da pregiudiziali ideologiche(13). Per
queste ragioni il rettore avrebbe avuto più di un motivo per
opporre il suo rifiuto alla custodia di materiali di proprietà
statale. Nella Platea (vol. II) del Convento di S.
Gabriele dell’Addolorata non figura alcun riferimento alla
vicenda, perché il cronista ha annotato che per gli anni 1943-44
si é sospesa la narrazione degli eventi comunitari per timore di
rappresaglia da parte delle milizie tedesche(14). Si era in un
momento in cui tacere era d’obbligo, tanto più che il ritiro
ospitò non solo molti sfollati cinesi, ma anche partigiani ed ex
militari italiani ricercati dai tedeschi(15). Da una relazione
del 1946 dello Scarselli sul funzionamento dell’Archivio nel
1945 si evince che il materiale fu ritirato personalmente dallo
stesso Coadiutore nel corso dello stesso anno: "Si provvide a
ritirare personalmente dal Santuario dei Padri Passionisti di
Isola del Gran Sasso tre casse di documenti pregevoli,
consistenti in tutti i manoscritti a suo tempo depositati dalla
famiglia Delfico, e al loro controllo"(16). |